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Arrangiamenti “post” molte cose (post-wave, post-punk, post-rock…) per musiche che trovano un’ottimo equilibrio tra la forma-canzone tradizionale e l’assenza di retorica e banalità. Ogni canzone suona fresca e originale, con uno spazio dedicato all’improvvisazione (o perlomeno ad un alto grado di libertà lasciato ai musicisti) e una grande capacità di evitare soluzioni scontate deviando le canzoni verso atmosfere e situazioni inaspettate, ma sempre piacevoli all’ascolto. Si va dalle atmosfere lente e rassegnatamente realistiche di “Città morbida” (con l’ottimo violino di Inke Kuhl) a quelle più accelerate di “Non luogo” (con la presenza del sax personalissimo di Luca Mai), brano nel quale c’è anche spazio per una seconda parte tutta immobilità tra dark-ambient e drone music, passando per i toni un po’ teatrali un po’ tribali (con qualche eco Gronge nel ritornello marziale) di “Maledire i ritorni“. Ci sono poi canzoni perfette per passare in radio che uniscono una tranquilla cantabilità a ottimi testi claustrofobici e/o drammatici, come l’iniziale “Il cane” o come la bellissima “Oscuro scrutare“, che nel fotografare efficacemente certa solitudine contemporanea sfodera chitarre mutaforma in gran spolvero. “Resti di una cena”, dopo una breve introduzione improvvisata, lascia spazio a un brano a metà tra i Massimo volume e gli indimenticati Franti. Infine ci sono brani meno canonici, ma non per questo meno potabili, dove il gruppo affronta forme ancora più aperte: è il caso di “Per volere di dio“, sussurrata e strascicata ma fulminante, o la sinuosa “Qualcosa di fisico” (Emidio Clementi alla voce). Il tutto servito con le ottime performance di tutti i musicisti (con un particolare apprezzamento per il canto di Tiziana Lo Conte che ha raggiunto una maturità espressiva superba) e dei testi lontanissimi da banalità e certe auto-referenzialità ombelicali che spesso pullulano nella scena nostrana contemporanea. Qui si cerca di volare più in alto. E ci si riesce.
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