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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2020
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C'è poco da aggiungere alla esauriente recensione di Alida Airaghi, se non che Franzosini si conferma scrittore colto e raffinato, per pochi amatori. Mi ha fatto tornare la voglia di rileggere Rimbaud che ho tanto amato nella mia adolescenza, mille anni fa: i suoi versi una sferzata per la settantenne che sono ora.
Edgardo Franzosini ha fabbricato un racconto sospeso tra realtà e leggenda, supposizioni e aneddoti. Chi era la dama che ospitò Rimbaud per quasi un mese nella sua casa in Piazza del Duomo a Milano? Era esistita veramente, come suggeriva con qualche morbosità Verlaine? L’adorato Paul alludeva a “una vedova molto civile in quel di Milano”. La sorella di Rimbaud, Isabelle, e il marito di lei, strenui difensori dell’immagine rispettabile e virtuosa del poeta, a più riprese smentirono la frequentazione con una donna italiana, affermando che il loro caro viaggiava esclusivamente per impratichirsi nelle lingue straniere, a cui era portato per naturale e felice disposizione mentale. Se l’ospitale signora fosse vedova inconsolabile o no, se affittasse camere sul sagrato della cattedrale a turisti bisognosi, se si fosse fatta ricompensare in qualche curioso modo dal ragazzo, probabilmente non si verrà mai a sapere. Franzosini si sofferma sulle testimonianze scritte che alludono ai rari rapporti che Rimbaud ebbe con le donne; lo descrive poi fisicamente, nelle grandi mani arrossate e nodose e negli occhi di un azzurro imbarazzante; accenna agli eccessi comportamentali dettati dal suo carattere violento, arrogante e sfrontato: “insopportabile perché tutto gli era insopportabile”. Ciò che risulta davvero fondamentale, al di là della relazione avuta con la misteriosa signora, è che nelle settimane in questione Arthur Rimbaud decise di non scrivere più, di lasciar perdere ogni interesse letterario: scelta “logica, onesta, necessaria”, secondo il parere di Verlaine. Una rinuncia e un disconoscimento dell’esistenza fino ad allora vissuta, che già si era espressa in una giovanile dichiarazione di dissociazione da sé stesso (“Io è un altro”), e nel sogno di sconfinamento manifestato nel “Bateau ivre”, con il rifiuto di far galleggiare la sua folle navicella in una pozzanghera "noire et froide", quale avvertiva fosse allora l’Europa, portandola invece a veleggiare verso altri lidi.
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