Nel 1935, su "Giustizia e Libertà", Franco Venturi avvertiva che un esame del Risorgimento, avendo come osservatorio l'Europa, avrebbe fatto capire quanto quel fenomeno fosse stato niente affatto provinciale bensì "la più completa realizzazione delle tendenze di quel secolo" che fu l'Ottocento. Se si legge il libro di Isabella appare chiaro perché questa osservazione del grande storico compaia in epigrafe. Intento principale del libro è ricostruire nel dettaglio una biografia intellettuale collettiva della generazione dei patrioti risorgimentali che andarono in esilio durante e dopo il periodo del regime napoleonico. Il soggetto umano, psicologico e sociale, prescelto da Isabella, è l'esule, il patriota che si era rifugiato all'estero per sfuggire alle persecuzioni, alla prigionia e non di rado alla pena capitale a cui poteva essere condannato. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non si tratta di figura marginale, né secondaria, della storia delle lotte politiche e dell'elaborazione intellettuale che contribuì alla costruzione dell'identità nazionale e del movimento patriottico.
Spesso si dimentica quanto ardua e rischiosa fosse la circolazione delle idee liberali e nazionali nella penisola tra il 1815 e il 1860. La censura e la polizia agivano quotidianamente e pesantemente in tutti, o quasi, gli stati preunitari. Fu soprattutto fuori d'Italia che perciò si poterono svolgere alcune importanti discussioni e poterono maturare idee e progetti, anche di natura costituzionale e istituzionale. Il lavoro ha dunque il pregio di rivedere criticamente molti approcci storiografici precedenti, dimostrando ad esempio come la distinzione tra liberali e democratici sia troppo schematica e riduttiva e come il liberalismo risorgimentale fosse tutt'altro che "peculiare", ovvero estraneo ai grandi dibattiti dottrinali europei. Fu inoltre cosmopolita e moderno, ovvero in piena sintonia con le punte più avanzate della riflessione liberale coeva. Ciò senz'altro per quanto riguarda l'emigrazione politica. Ovviamente il Risorgimento italiano, da intendersi come "forma tardiva di nazionalismo", scontò il fatto di essere anche il prodotto di intellettuali che si confrontarono con stati nazionali di antica formazione. Il loro desiderio di porre l'Italia al passo con quel che allora incarnava la "civiltà europea" indusse a giustificare accelerazioni e forzature, specie a unità e indipendenza raggiunte.
L'imponente lavoro di storiografia comparata svolto da Isabella conferma quindi la natura europea del Risorgimento, la sua rilevanza sul piano internazionale per i protagonisti della politica mondiale di quel tempo, e bisognerà cominciare a "sprovincializzare" la cultura di molti nostri storici e a smetterla con il mito dell'"Italietta", divenuta forse tale solo con la seconda guerra mondiale e le umilianti conseguenze prodottesi nel pieno fulgore della retorica fascista che voleva una "grande potenza". Grandi, rispettati e considerati, furono gli italiani durante e immediatamente dopo il processo di unificazione. Successivamente sorsero problemi di legittimazione all'interno del consesso internazionale. E un sentimento di inadeguatezza e inferiorità rispetto agli altri principali stati europei serpeggiò tra le classi dirigenti, avvelenandole.
Danilo Breschi
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