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Anno edizione: 2022
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In questo libro, Massimiliano Boni mette in luce per la prima volta, grazie anche a documenti inediti, la vicenda paradigmatica di Azzariti, uomo di apparato, la cui carriera inesorabile lo vide sempre ai vertici, inamovibile al mutare degli eventi, ogni volta proteso verso nuovi traguardi, raggiunti a costo di tanti silenzi e compromissioni.
«La persecuzione è avvenuta in modo legalmente ineccepibile. Alla base di ogni furto a danno degli ebrei c’era una legge. E tutte erano formalmente corrette. In Italia il governo le ha proposte, il parlamento le ha votate, il re le ha firmate, la burocrazia le ha applicate, la magistratura, nel suo complesso, ne ha assicurato l’osservanza. Nella generazione più rapace che il Novecento abbia conosciuto, tutto è avvenuto in modo legale. Alcune leggi, tra tutte quelle che hanno attuato la persecuzione, sono state più sottili di altre. Formalmente davano agli ebrei la possibilità di salvarsi. Sarebbe stato sufficiente, da parte loro, dimostrare in qualsiasi modo che non erano dei veri ebrei, e che dunque potevano essere considerati ariani. E quando tutto finì, ecco che i persecutori poterono riuscire all’aperto e cominciare a giustificarsi. Potevano essere rimproverati se stavano solo applicando la legge? Non era vero che alcune di quelle leggi erano addirittura a favore delle vittime, e che chi le applicò lo fece con uno spirito benefattore? La cosa più incredibile, è che furono creduti.»
Gaetano Azzariti (Napoli 1881 - Roma 1961) fu magistrato del Regno, segretario per la revisione dei codici delle colonie e segretario particolare dei ministri Scialoja e Mortara nell’Italia liberale giolittiana. Potente direttore dell’Ufficio legislativo per tutta l’epoca fascista, consigliere di Corte d’Appello e presidente di sezione della Cassazione, dopo l’emanazione delle leggi razziste del 1938, che contribuì a redigere, divenne anche presidente del Tribunale della razza. Alla caduta del fascismo, fu brevemente ministro di Grazia e Giustizia durante il governo Badoglio. Dopo la guerra, sottoposto a procedimento di epurazione, riuscì a sottrarsi alla richiesta di messa a riposo e anzi venne cooptato da Palmiro Togliatti nel Ministero di Grazia e Giustizia, dove contribuì a scrivere l’amnistia per i reati fascisti del 1946. Dal 1957 fu giudice della Corte costituzionale repubblicana, diventandone presidente l’anno dopo e fi no alla morte. In tale veste redasse la storica sentenza n. 1 della Corte, e fu protagonista di aspri scontri con i primi governi repubblicani. Gaetano Azzariti è stato dunque un uomo in grado di attraversare la storia del nostro paese sempre in posizioni di primo piano e di passare indenne attraverso tutti i cambiamenti più traumatici, dal regime liberale alla dittatura fascista, e da questa alla democrazia. Onorato da una via a lui dedicata a Napoli e da un busto al palazzo della Consulta, la sua vicenda iniziò a fare scandalo nel 2015; in seguito, la via venne cancellata e intitolata a una bambina ebrea deportata, mentre il busto venne rimosso, ufficialmente per restauro. Il nodo centrale era, naturalmente, il Tribunale della razza e il ruolo del magistrato nel regime fascista.
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