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È una biografia non convenzionale quella che Tomkins, critico del "New Yorker", dedica a Robert Rauschenberg. Costruita montando assieme frammenti diversi della vita dell'artista, essa infatti si avvicina più a una raccolta di brevi racconti. L'inventore dei combine paintings finisce per essere solo uno dei tanti personaggi che si muovono sulla scena. Cy Twombly, Leo Castelli, John Cage, Merce Cunningham sono chiamati a partecipare, di volta in volta, al grande e sfarzoso film della sua intensa vicenda. Entro lo spazio del libro precipitano così le forti amicizie, le intemperanze, le scelte sbagliate, il successo e le crisi dell'artista americano. Ne esce un ritratto carico di colori, un'immagine che tutto abbraccia e niente rifiuta, proprio come l'arte di Rauschenberg. Molti sono gli episodi avvincenti: basti pensare all'esperienza vissuta al Black Mountain College, la scuola d'arte ispirata alla Bauhaus di Gropius, rifugio di grandi artisti e incubatore delle nuove avanguardie americane. O alla tournée compiuta attraverso l'Europa con Cage e Cunningham, durante la quale Rauschenberg sembrò volgersi bruscamente verso il mondo del teatro. Ancora sorprendono i due viaggi in Italia: il primo, consumato insieme al grande amico Twombly all'inizio degli anni cinquanta, tra Roma e Firenze, in una disperante povertà; il secondo, segnato invece dalla travolgente celebrazione alla Biennale di Venezia del 1964, ove a nome di Rauschenberg che ottenne tramite un'abile strategia il Gran Premio Internazionale l'America s'impose per la prima volta sul mercato mondiale dell'arte. Tuttavia, la celebrità ottenuta in questa circostanza fu come bruciata, nel tempo, dall'artista, che mai si fermò a ripensare la propria ricerca, gettandosi sempre, spericolatamente, in nuove avventure.
Mattia Patti
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