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scheda di Rocca, D. L'Indice del 2000, n. 12
Proclamata "città aperta" nel settembre 1943, Roma è liberata il 4 giugno 1944. Con l'intento di raccontare l'incubo dell'occupazione, fra l'estate e l'autunno '44 Fulvia Ripa di Meana mette mano a un diario, poi edito dalla Oet. Ripubblicato oggi con l'aggiunta di una preziosa bibliografia resistenziale, il libro, privo di ambizioni artistiche, è una sofferta testimonianza di vita imperniata sulla figura dell'alto ufficiale Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, cugino dell'autrice e capo del Fronte militare clandestino, torturato in via Tasso dai nazisti, poi tra i martiri delle Ardeatine con altri 334 prigionieri. Il diario di Fulvia Ripa di Meana, in seguito premiata con la Croce al valor militare e morta nel 1984, ha il merito di richiamare vividamente la concretezza della quotidianità in quelle tragiche circostanze, anche se la considerazione della tragedia di Roma come di una Passione che condurrà al ricupero della perduta purezza e la concezione dell'estate '43 come d'un periodo di disonore nazionale nel quale crollano il mito di Mussolini e la credibilità dell'Italia piuttosto che come il presentarsi dell'occasione per una rinascita collettiva sono caratteristiche di un sentire più latamente patriottico che antifascista in senso stretto. Nel libro si incontrano però spunti significativi in relazione alle tecniche di guerriglia partigiane (sabotaggio, ostruzionismo) e all'odio popolare per alcuni uomini del regime (Graziani), oltre che ricordi ora strazianti, come la morte del giovane Fumaroli, ora commoventi: l'autrice rievoca la malattia più comune di quei mesi, scherzosamente detta "morbo di Kesserling", per cui con pretesti vari chi può si fa ricoverare al Principe di Piemonte, ospedale amico, non esitando a sottoporsi a interventi chirurgici anche del tutto superflui pur di tenersi lontano dai nazisti in attesa dell'arrivo degli Alleati.
Daniele Rocca
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