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Ebrei sefarditi in fuga, dal quindicesimo secolo ai giorni nostri. Dimenticate però la linearità del racconto. La progenie dei sette fratelli Castil cacciati nel 1492 dalla cattolicissima Castiglia in cui impera l’Inquisizione, moltitudine di eredi che approda a Gaza ma popola il Mediterraneo senza smettere mai di errare, e salti temporali calibrati benissimo, intrecciati finemente, danno vita a Romanzo egiziano (154 pagine, 17 euro) della scrittrice israeliana Orly Castel-Bloom, tradotto da Shulim Vogelmann e pubblicato da Giuntina. A dispetto del titolo forse sarebbe più corretto parlare di raccolta di racconti fra loro collegati, alla maniera di Liz Strout, per intenderci.
I Castil troveranno rifugio anche in Egitto, presso gli eredi della tribù che secoli e secoli prima, a dar retta alle Sacre Scritture, aveva detto no a Mosè al momento dell’esodo e non aveva voluto raggiungere la terra promessa, preferendo restare in schiavitù. Secoli dopo, negli anni Cinquanta del Novecento, c’è chi, marxista-sionista, lascerà l’Egitto per la vita collettiva in un kibbutz nel nuovo Stato indipendente di Israele e da quel kibbutz (in cui già soffriva del pregiudizio degli ebrei di origine europea) sarà costretto a uscire, espulso da una commissione per eccesso di zelo comunista, per una difesa a oltranza dello stalinismo e dell’Urss, costretto a farsi largo nella vita nella moderna e cosmopolita Tel Aviv. Succede a due coppie, quella composta da Vivienne e Charlie (genitori di due figlie, la sorella maggiore è l’alter ego di Orly Castel-Bloom) e quella formata da Adele e Vita (avranno un’unica figlia, Vita è fratello di Charlie).
Una storia familiare condita da realismo magico, quella di Orly Castel-Bloom? Certamente, ma anche una saga tutt’altro che convenzionale. Va avanti e indietro nel tempo ma, pur a lungo immersa nel passato, non dimentica il presente: l’odierna Israele, in certe sue contraddizioni, in tutte le sue divisioni, emerge da tanti piccoli e grandi particolari. Con infiniti dettagli, e anche con un culto per l’assurdo che rivela certe probabili letture e riferimenti (Kafka) dell’autrice. Storia (dalle manifestazioni contro re Faruk in Egitto alle rivolte e ai dimostranti della cosiddetta Primavera Araba), leggende e finzione sono cucite bene assieme, con grande naturalezza e vivacità, dramma e sorriso convivono, talvolta nel giro di poche righe, si confondono e vanno avanti fino a un finale relativo, nel senso che le storie delle famiglie sembrano non concludersi mai e questa non fa eccezione…
Recensione di Arturo Bollino
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