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Con una scrittura magistrale, ironica e intelligente, Veronica Raimo declina il comandamento "Onora il padre e la madre". Sfiorando il surreale, racconta un'infanzia sospesa tra amore e abbandono, tra realtà e assurdo. Ne nasce una storia che inquieta e commuove, e che ci resta dentro come un'eco perturbante.
«Veronica Raimo reinterpreta il quarto comandamento in una riuscita novella "weird".» - Alessandro Beretta, La Lettura
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"Che vuoi fare da grande?" La domanda più comune del mondo. Ma nel romanzo Sabbie mobili di Veronica Raimo, questa diventa la frattura originaria da cui si apre una crepa che non smette di allargarsi. Perché quando a fartela è una madre che trascina per casa le sue gambe di piombo, che vive tra sigarette, farmaci e ombre, che si inzuppa nella pioggia per sentirsi viva e scompare senza un addio, allora quella domanda non ha più niente di comune. Il bambino protagonista, senza nome, come a volerci ricordare che chi è trascurato finisce per diventare invisibile, si muove in questo mondo con gli occhi sgranati, con la mente che registra tutto, e con un cuore che si protegge dietro una corazza di silenzi. Una voce narrante che è insieme infantile e lucidissima, poetica e surreale, carica di immagini e simboli che bucano la pagina. Il bambino non può spiegare razionalmente ciò che vive, e allora inventa metafore, sogni, mitologie private. Parla delle “sabbie mobili” come di un luogo reale in cui sua madre è scomparsa, si immagina palombaro del fango, costruisce mondi che gli permettano di sopportare la mancanza di risposte. Sabbie mobili non è solo un romanzo sull’abbandono, è un romanzo sulla lingua come forma di resistenza, sulla narrazione come unica forma di sopravvivenza possibile. Il bambino non è un piccolo eroe, ma un sopravvissuto silenzioso. Non è resiliente, è semplicemente lì, ogni giorno, a cercare un modo per tenere insieme i pezzi. “Voglio diventare un palombaro delle sabbie mobili.” E lo fa con uno slancio lirico, con un’intuizione formidabile. Perché ha capito che non può restare in superficie. Lui dovrà scendere a fondo, nella melma dell’assenza, dell’incomprensione, del dolore. E lì, cercare di respirare. Veronica Raimo scrive una storia che ti lascia addosso una malinconia profonda e una strana tenerezza. È un libro che disturba, che fa male, ma che ci ricorda che a volte sopravvivere significa solo trovare le parole per raccontare l’abisso.
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