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"Safet Zec abbraccia la grande arte del passato non certo nel solco della riproposizione ma in quello della ricerca feconda di un'immagine personale e originale, nella coscienza che il nuovo non nasca dal nulla ma si generi a partire da una storia millenaria e dalla maestria del "fare": studio e devozione al lavoro gli hanno permesso di raggiungere vertici condivisi solo da pochissimi maestri". Così, con ammirata ed entusiastica partecipazione, si esprime uno dei prefatori di questo bellissimo volume dedicato al pittore bosniaco Safet Zec: Giovanni Gazzaneo, che ancora scrive di lui: "Sguardo d'insieme e cura del dettaglio, memoria del passato e sete di ricerca vanno di pari passo, il passo del genio". E anche gli altri due critici che introducono l'opera di Zec ( Stefano Zuffi e Pascal Bonafoux) non lesinano in elogi ("La sua pittura è intransigente...scomoda...è un'esigenza; ..la sua arte si basa su una capacità affettuosa ed empatica di "adesione" alla realtà delle persone e -forse soprattutto- delle cose, nelle composizioni più articolate o anche nell'essenzialità silenziosa di un singolo oggetto"). E l'osservatore appassionato e stupefatto di queste riproduzioni non può che aderire a questi giudizi: sia che contempli i paesaggi da sogno della sua prima pittura, legata alla natura slava ("Le Chiome" lussureggianti dei suoi alberi, le staccionate, gli interni modesti delle vecchie case), sia che partecipi commosso alle visioni straziate delle sofferenze di una guerra crudele ( "Le lacrime", "Le partenze", "Gli abbracci", e soprattutto i corpi anonimi coperti da lenzuoli pietosi simili a sudari), sia che si intenerisca su nature morte concretissime e poetiche (il pane, le povere credenze, le camicie, gli specchi, porte-finestre-facciate, o gli strumenti di lavoro del pittore). Maestria del segno che sa nutrire occhi e anima.
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