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La poesia di Sandro Penna, per la sua chiarezza e levità, per il lessico deliberatamente banale e le rime "facili", è stata spesso letta come una creazione immediata e spontanea. Secondo questa vulgata, Penna si collocherebbe volutamente fuori dalla storia: il suo canzoniere, nutrito di un inesauribile quanto privato erotismo, non potrebbe occupare, nel paesaggio del Novecento italiano, che uno spazio marginale e, in definitiva, ininfluente. L'interpretazione di Daniela Marcheschi oppone a questo stereotipo (di cui indaga l'origine, in un serrato e fruttuoso confronto con il pensiero di Giacomo Debenedetti) una visione radicalmente diversa. Poeta ben più colto di quel che appaia in superficie, Penna segue "nell'unione di semplice e di alto", il magistero leopardiano; si emancipa dalle seduzioni del decadentismo anche grazie alla lezione di Ungaretti; nel tema del desiderio d'amore, che instancabilmente declina, non ci offre la semplice trascrizione di un dato biografico, bensì la consapevole ripresa di un motivo petrarchesco, rielaborato con "accenti di una concretezza nuova". Per la conquista di questa concretezza, è fondamentale il pensiero di Nietzsche, con il suo ammonimento a non privilegiare la riflessione rispetto alla vita e alla corporeità. Ma fondamentale è anche la tela sottile di rapporti e affinità intellettuali che unisce Penna a Saba e a Bontempelli: evidenziandola, questo saggio riscrive una pagina di storia letteraria sinora trascurata e mal compresa.
Mariolina Bertini
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