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Un romanzo comico in senso generale, perché il comico ha a che fare con l'inaspettato, e in senso proprio, perché fa ridere: con una scrittura aerea e musicale, Liv Ferracchiati, rivolgendosi continuamente a chi legge – «Lettore, seguimi!» – e facendoci così diventare personaggi e protagonisti del suo libro, mette in scena il senso di inadeguatezza e la diversità, che sempre ci fa stupendi.
L'autore di questo libro è transgender, e il protagonista di questo libro è transgender. Tuttavia, questo libro non è un'autobiografia, è un romanzo. Anzi, quando comincia, l'io narrante non è ancora nato, nonostante i suoi genitori facciano di tutto perché ciò accada, e, nonostante non abbia ancora il corpo, l'io narrante racconta. Sarà solo la fine del mondo, esordio nella narrativa di Liv Ferracchiati, autore teatrale e performer, è infatti un romanzo sul corpo che, anche quando è in piena salute, allegro, bello, può essere percepito come inadatto. È con il corpo che ci presentiamo al mondo prima di aver imparato a parlare, è intorno al nostro corpo nudo che viene pensato il colore rosa o l'azzurro, anche quando non li indossiamo. Così, visto che il corpo è un problema, il protagonista, da subito, comincia a parlare. Comincia a farlo prima di nascere, e poi non smette più: parla tanto, si lambicca, eccepisce, critica e discute. Gioca, soprattutto. E si innamora. L'io narrante bambino vuole tutto, e non ha problemi di identità, è certo di chi è e di ciò che vuole, poi purtroppo qualcosa cambia: qualcuno, oltre a se stesso, vuole spiegargli chi è, cosa è, e quando è. La vita, però, cambierà con l'entrata in scena del mitico e quotidiano Guglielmo Leon. Sarà solo la fine del mondo segue la vicenda umana e preumana del protagonista, e anche quella oltreumana, attraverso i suoi incontri, le sue scoperte, le sue lotte, i suoi tradimenti, le sue risse, le sue gioie, le sue delusioni e la galleria dei personaggi – alcuni buffi, altri odiosi, molti adorabili – che incrociano il suo cammino. Un romanzo comico in senso generale, perché il comico ha a che fare con l'inaspettato, e in senso proprio, perché fa ridere: con una scrittura aerea e musicale, Liv Ferracchiati, rivolgendosi continuamente a chi legge – «Lettore, seguimi!» – e facendoci così diventare personaggi e protagonisti del suo libro, mette in scena il senso di inadeguatezza e la diversità, che sempre ci fa stupendi.
«Come li vuoi i capelli, allora?» mi aveva chiesto la parrucchiera.
«Corti» avevo risposto io.
«Quanto corti?» aveva chiesto lei.
«Un centimetro» avevo detto io con il fuoco negli occhi.
«Lo facciamo?» aveva chiesto a mia madre.
«E facciamolo...» aveva detto lei, rassegnata.
Così aveva iniziato a tagliare con la macchinetta e i capelli planavano giù. Poi d'improvviso anni e capelli erano finiti per terra, come ha scritto qualcuno da qualche parte, ma non ricordo dove, né chi. Solo che io di anni da far cadere ne avevo solo quattro, e allo specchio, guardandomi, biondo e con i capelli lunghi un centimetro, dovevo ammetterlo, mi trovavo piuttosto piacente.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Consiglierei di leggere questo romanzo a chiunque. Uomo o donna che sia. Il protagonista è transgender. L’autore è transgender. E già iniziamo male perché purtroppo per farci capire dobbiamo usare delle definizioni, soprattutto in ambito sessuale. Eppure ciò contro cui combatte il protagonista sono proprio le definizioni. Questo romanzo non è una storia semplice e nemmeno così ironica. C’è l’ironia ma c’è anche una continua ricerca di se stessi. Un modo indolore di farsi riconoscere dagli altri per quello che vogliamo essere. La crescita effettivamente non risolverà il problema. Il nostro protagonista si scontrerà contro una realtà sempre più aberrante. E con questo non intendo solo la cecità di chi gli sta intorno, ma quella che ha a che fare con la sua interiorità. L’aspetto fisico definisce quello che siamo, sempre e comunque. La gente vede che sei donna e non puoi sentirti un uomo. Oppure il contrario. Ciò che fa soffrire di più il protagonista è la costante ricerca di quella definizione al maschile che lui sente di essere, ma che non è accettata dalla società. Non è vista dalla società. Il desiderio del protagonista sarebbe quello che non ci fossero più definizioni, limiti, constatazioni. E sopratutto il nome dovrebbe essere scelto in età adulta quando conosciamo la nostra vera identità. Da piccoli, ad esempio, la nostra culla è rosa o azzurra in base al nostro sesso. Ma il sesso lo ha deciso qualcun altro, non noi. Magari la nostra identità non è fissa. Chi ha detto che è immutabile? E se fosse costituita da milioni di sfumature in perenne divenire? Se cambiassimo continuamente, sarebbe così denigrante, così scandaloso? I criteri che gli altri usano per definirci sono inesistenti.
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