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Descrizione


Il romanzo racconta le vicende di due amiche, omosessuali, in bilico fra partecipazione e distanza dalle mode culturali e dalla mondanità intellettuale. La storia si svolge in Olanda. Nelle due donne vengono disegnati due modi di essere e due destini opposti: in Meta il desiderio vitale di essere presenti, di comunicare, di vivere con gli altri (desiderio che la porta verso una serie di compromessi e alla fine alla banalizzazione di tutta la sua esperienza); in Saskja la durezza critica, il rigore, la distanza dal mondo sociale (con una crescente tendenza all'isolamento, alla melanconia, al suicidio).
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Dettagli

1996
5 settembre 1996
176 p.
9788833909950

Voce della critica


recensione di Esposito, E., L'Indice 1996, n.10

Potrebbe anche essere "Donne" il titolo di questo nuovo romanzo di Anna Maria Carpi, non solo perché si parla di un universo quasi esclusivamente femminile, ma perché ciò che sta a cuore all'autrice non è cosa queste donne facciano, che cosa esse affermino con il loro comportamento nella libera Olanda sul cui sfondo si muovono; e non è nemmeno il progetto o l'ambizione che le muove, ma è propriamente il loro essere donne, con la loro bellezza o con il loro corpo un po' sfatto, con il loro desiderio e la loro fragilità, il loro bisogno di emergere ma anche e prima di tutto di amare.
L'amore è certo la passione dominante, e poco importa, in fondo, che si tratti di amore per lo più omosessuale, perché non sono i suoi specifici caratteri o problemi a essere oggetto di attenzione (quello che ha spazio, semmai, è il problema generale della donna nella società), ma l'amore in genere, il bisogno di affettività e di sicurezza, il suo gioco di offerta, di cattura, di possesso. È così anche per Meta, protagonista o almeno figura primaria di questa storia dei nostri tempi, persona piena e matura che la vita cerca di costruirsela costruendola anche a nome delle altre donne, e che sul passato e sul futuro riflette e si interroga ponendosi non solo il problema del sé ma quello del sé nel sociale; anche per Marjan, tenera e goffa nel suo timido muoversi in un mondo troppo più aggressivo e determinato di quanto le sia concesso di controllare; e ovviamente anche per Saskja, grazia e giovinezza, pigrizia e talento, fascino e perversione, figura necessariamente emergente fra le altre, comprimaria per vocazione e irresponsabile per scelta.
Se Meta è la determinazione, Saskja è il cambiamento, e se Meta si ammira, Saskja non si può che amare. O odiare, naturalmente, vedendo come i suoi vizi finiscano sempre per prevalere sulle sue virtù, e constatando il disfacimento che ella non è capace di trattenere del suo cuore e del suo corpo, il buttarsi via di chi dalla vita ha sortito la partenza migliore (ma non è lei che sentenzia "Lo sperpero è un modo di sentirsi immortali"?). Così, se Meta è colei che apre e chiude il romanzo, e quella intorno a cui ruota la storia (le storie), Saskja, di cui si dice a un certo punto che è "la voce della gioventù del mondo", è quella di cui più si vorrebbe sapere, che più ci strega nella sua capacità di parlare, di dipingere, di scrivere, di non fare niente o, come dice sua madre, di "far sempre diverso dagli altri". Ma entrambe sono, anzitutto, personaggi (e la seconda, per le ragioni dette, più della prima), personaggi che qui fioriscono con invidiabile naturalità da poche battute di dialogo e nella cui creazione - non è superfluo ricordarlo nella nostra epoca di "romanzi di parole" - consiste per molti aspetti l'arte stessa del romanzo.
Molte le cose che si fanno apprezzare in queste pagine, e fra esse proprio la capacità di far colloquiare con vivacità e semplicità persone e persone che acquistano per ciò stesso consistenza e spessore, e alle quali basta aggiungere ben poco perché si alzino e camminino. Questo poco lo aggiunge un narratore sostanzialmente tradizionale - per quanto modernamente scaltrito nel padroneggiare voce, modo e tempi del racconto - che solo all'inizio si dichiara, o meglio dichiara la sua qualità di testimone, di relatore di fatti avvenuti, ma che proprio nel suo sparire dalla scena (onnisciente sparizione), nel limitare il suo intervento a cuciture didascaliche (fuse e confuse con il discorso diretto), trova l'esatta misura che alla materia consente di lievitare.
Libro ilare e tragico insieme, perché pieno di momenti teneri, allegri, ironici e perché costretto a constatare la vanità degli sforzi e l'isolamento di ciascuno, questo della Carpi si propone davvero come prova originale nella paludosa narrativa contemporanea, e non certo per la tematica amorosa, che viene affrontata con rara leggerezza, ma per le riflessioni che suggerisce e per la scrittura semplice e sapiente, avvolgente e diretta, pur nei rallentamenti qua e là causati dal riproporsi della meccanica degli incontri erotici, sempre diversi e sempre uguali.
Non c'è una vera e propria conclusione (la grande festa in famiglia, sul prato, segna semmai una tappa: amara, se è anche constatazione dell'inutilità della ricerca), così come non ce l'hanno in genere le cose della vita. Se dovessimo dare un'etichetta alla vena di questa scrittrice, infatti, troveremmo forse la più adatta in un attributo che alla vita (indipendentemente dalle donne e dagli uomini che la vivono: de te fabula narratur) fa imprescindibile riferimento, e parleremmo di narrativa esistenziale.

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