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Il sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci
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Il sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci - Lucio Magri - copertina
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sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci

Descrizione


Dal xx congresso del 1991, in cui fu decretata la morte del Partito comunista italiano, sono passati diciotto anni. Fu una morte deliberata, accelerata dalla volontà di un "nuovo inizio". Quel nuovo inizio non c'è stato. Al suo posto si è verificata la perdita di un patrimonio politico, organizzativo e teorico fra i più complessi e strutturati del panorama mondiale. Il Pci, dalla sua fondazione nel 1921 alla lotta partigiana, dalla svolta di Salerno del 1944 alla destalinizzazione del 1956, dal lungo Sessantotto al compromesso storico e all'occasione - mancata per sempre - dell'alternanza democratica, ha attraversato e segnato quasi un secolo di storia italiana. Un cammino che Lucio Magri ripercorre senza mai perdere di vista gli ineludibili, spesso fatali, nessi con gli eventi della scena politica internazionale. Negli anni sessanta il partito aveva raggiunto la propria maturità, era in piena ascesa ed era impegnato nell'ambizioso progetto della "via italiana al socialismo". E negli anni ottanta - nonostante inerzie e ritardi - le potenzialità riformatrici, l'influenza e il seguito di questa grande forza progressista erano ancora enormi. Perché allora nel congresso del 1991 prevalse quella decisione? Perché fu imposta una perdita tanto precipitosa quanto assoluta?
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Dettagli

2009
17 settembre 2009
500 p., Brossura
9788842816089

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ninonux
Recensioni: 3/5

Probabilmente la "cattiva fama" dell'autore ha influenzato in negativo la lettura del libro. Magri era un comunista sui generis: amava frequentare gli ambienti dorati della Milano Bene fino ad arrivare ad avere una relazione decennale con Marta Marzotto (che, poi, con ironia dissacrante, definì lo stesso Magri un "comunista da salotto"). Non discuto il valore dell'opera in se stessa (ovvero una rilettura puntuale e ricca di curiosità di oltre quarant'anni di storia del PCI), quanto la veridicità e l'autenticità dell'ortodossia magriana.

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armando pepe
Recensioni: 5/5

Lucidissima analisi della storia del PCI dal dopoguerra fino al 1989, anno del suo dissolvimento. L'autore si pone dei capitali quesiti cui cerca, di volta in volta, di dare una risposta plausibile: perchè la svolta degli anni '80 non è avvenuta un decennio prima? Per una mancata interpretazione dei fatti politico-sociali che avvenivano intorno o perchè la fine del PCI è accaduta precipitosamente, quasi come in una convulsa smania di “nuovismo” a tutti i costi? Il retaggio politico e, soprattutto, civile di una grande forza democratica, costruita da Togliatti e demolita da Occhetto, si è perso, scomparso in mille rivoli. Il cambiamento di nome, d'identità è stato vissuto come un vulnus morale dall'autore che rivendica la giustezza di gran parte delle posizioni politiche del partito comunista.

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Voce della critica

Sono passati ormai otto anni da quando Vittorio Foa si tormentava per il "silenzio dei comunisti" di fronte alla frana che aveva travolto la loro storia e il loro il loro partito e che sembrava far scomparire la loro stessa identità. Se coniando quella espressione il vecchio padre nobile della sinistra italiana voleva tentare una provocazione e lanciare una sfida, ebbene, bisogna dire che la provocazione ha avuto successo e la sfida è stata raccolta. L'afasia dei comunisti è finita. Foa oggi non potrebbe più dire che "il loro passato è cancellato nella memoria". Su questo passato negli ultimi anni si sono moltiplicati i libri: Barca ha pubblicato il suo diario, Rossanda, Napolitano, Macaluso, Cossutta, Ingrao, Chiarante (per non citare che i dirigenti più noti) hanno scritto – con registri molto diversi – le loro memorie. Ed è andata avanti di pari passo la ricerca storica: su Togliatti, su Amendola, su Longo, soprattutto su Berlinguer.
In questa abbondante fioritura di memorie e studi, il libro di Lucio Magri si presenta con caratteristiche particolari. Magri è anche lui un testimone d'eccezione della storia del Pci, anche se iscritto effettivamente al partito lo è stato soltanto per dodici anni. Vi era entrato nel 1958, lasciandosi alle spalle, assieme a Chiarante, l'esperienza della gioventù democristiana a Bergamo, e dopo aver respirato l'atmosfera culturale che circolava intorno a uomini come Giuseppe Dossetti e soprattutto, più tardi, come Franco Rodano, figura atipica di cattolico, ascoltato consigliere prima di Togliatti e poi di Berlinguer. A Botteghe Oscure però non restò molto a lungo: emarginato dopo l'XI Congresso del 1966 insieme alle figure di punta della corrente ingraiana (se tale si può definire quella molto informale aggregazione di persone e di idee che fu la "sinistra" del Pci), sarebbe stato addirittura radiato nel 1970 (insieme a Rossanda, Natoli, Pintor e altri) per aver fondato e personalmente diretto il "Manifesto": esperienza, questa, di cui ora con apprezzabile distacco critico non sottovaluta, ma nemmeno esagera, l'importanza. Nel partito, ormai trasformatosi, rientrerà solo nel 1985, per uscire di nuovo dopo la scissione del 1991. Magri, dunque, avrebbe potuto anche darci un altro libro di memorie, che sarebbe di sicuro interesse, come si vede da qualche parca anticipazione contenuta in questo volume.
Ma il suo è prima di tutto un gran bel libro di storia, in cui rigore e passione sono felicemente fusi come raramente accade di vedere. La storia è quella del Pci, inquadrata con equilibrio nella storia del comunismo come fenomeno mondiale del XX secolo. Un fenomeno storicamente esaurito in questa sua connotazione: su questo mi pare che anche Magri non abbia dubbi. Ma un fenomeno non riducibile a mera "illusione" travolta dal fallimento del "socialismo reale", né alla galleria di orrori dittatoriali e di miseria morale e materiale cui si ha ora la tendenza a risolverlo. È stato un movimento collettivo che ha riguardato la vita di milioni di persone e che ha assunto con gli anni un carattere sempre più differenziato e meno unitario; in Italia, in particolare, è stato una realtà che ha dimostrato una straordinaria capacità di radicamento nella società nazionale per almeno un trentennio e più.
Per raccontare questa storia, e imprimerle, malgrado l'onesto riconoscimento delle sconfitte, il sigillo della speranza, Magri ha scelto di dare al libro il titolo di un celebre apologo di Brecht, evocato da Ingrao quando Occhetto nel novembre 1989 volle dissociare il Pci dal comunismo. Il sarto di Ulm era un artigiano che, nel 1592, si persuase di aver inventato un apparecchio con cui un essere umano poteva volare. Invitato malignamente dal vescovo della sua città a provarne l'efficacia, si lanciò nel vuoto dal piano più alto del palazzo e morì schiacciato sul selciato. Eppure, poco più di tre secoli dopo, l'essere umano sarebbe stato capace di volare. Come a dire che il comunismo del XX secolo si è schiantato al suolo, ma che il futuro dell'ideale comunista non è segnato. Il libro, però, lascia poco spazio ai voli nei cieli dell'utopia. È un libro di storia, nutrito di fatti, di dati, di analisi molto concrete. Un libro documentatissimo, puntuale nella confutazione di errori di fatto o di slittamenti cronologici diventati troppo spesso senso comune storiografico, ma al tempo stesso straordinariamente capace di capire e spiegare anche le ragioni delle scelte non condivise, e di fare ricorso, senza abiure né autoflagellazioni, a una robusta dose di autocritica.
Per quattrocento pagine l'analisi scorre lucidissima, serrata, ed è in più punti largamente condivisibile. Magri non esita a riconoscere l'altissima statura di dirigente politico di Togliatti, e la fondamentale coerenza del suo disegno strategico: anche se è rigoroso e puntuale nell'indicare i passaggi in cui quella linea strategica avrebbe potuto essere applicata con più coraggio, conseguendo risultati più significativi: per esempio nei governi di unità nazionale del 1944-1947, soprattutto con una politica economica più audace e un contrasto più efficace alla ricostruzione della continuità dello stato e dei suoi apparati. Morto Togliatti, però, il partito gli appare perdere slancio, chiudersi in dibattito interno vivace, ma alla fine sterile, perché risolto attraverso eccessi di mediazione diplomatica. Così esso arriva con ritardo ad alcuni appuntamenti decisivi: l'esplosione della contestazione studentesca nel '68 e le lotte operaie dell'autunno caldo, delle quali – Magri lo riconosce – riuscì comunque a comprendere alcuni elementi e, particolarmente nel secondo caso, ad assorbirli in un processo faticoso di aggiornamento, ma che non fu capace di capitalizzare veramente sul piano politico.
Le critiche forse più severe riguardano la fase del compromesso storico. Dell'impianto strategico di questa idea del "primo Berlinguer" si ammette che aveva una propria giustificazione, perché tentava di sbloccare un sistema politico chiuso attraverso una legittimazione reciproca dei due maggiori contendenti, per aprire poi la via a una competizione basata sull'alternanza. Ma si critica, e duramente, il modo in cui si cercò di tradurlo in atto, e soprattutto la scelta perdente, fatta all'indomani delle elezioni del 1976, dell'"unità nazionale": che attribuiva al Pci le responsabilità di una politica inefficace e impopolare, ma non quelle del governo, e lo privava di qualsiasi possibilità concreta di incidere sulla situazione. Per contro, sostiene Magri, c'è stato un "secondo Berlinguer", molto migliore del primo, che vide lontano e poteva salvare il Pci. È il Berlinguer che, persuasosi definitivamente alla fine del 1979 del fallimento della linea fin lì seguita, va ai cancelli di Mirafiori a sostenere la lotta operaia contro i licenziamenti decisi dalla Fiat, accetta lo scontro sulla scala mobile e sui missili di Comiso, e cerca di aprire il Pci ai movimenti, teorizza la percorribilità di una "terza via" diversa da quella del "socialismo reale" e della socialdemocrazia e, a rischio di decretarne l'isolamento politico, rivendica la "di–versità" del Pci da tutti gli altri partiti, moralmente degenera–ti e ridotti ormai al rango di organizzazioni di puro potere e di clientela. Se Berlinguer non fosse morto prematuramente nel pieno della lotta per affermare questa svolta, e so–prattutto se buona parte del gruppo dirigente comuni–sta non si fosse preoccupata di chiudere al più presto la parentesi – questa la tesi di Magri –, il Pci radicalmente rinnovato sì, ma senza estirpare le sue ra–dici e cancellare la sua tradizione, avrebbe potuto arrivare in ben diverse condizioni all'appuntamento fatale del 1989-1991, e la stessa crisi della prima repubblica avrebbe assunto un segno assai diverso.
La tesi è suggestiva, e anche argomentata con considerazioni tutt'altro che banali, nessuna delle quali può essere facilmente liquidata. Ma forse è una tesi che punta troppo sulla possibile risposta di attori sociali che si stavano trasformando in profondità e che non erano più di tanto ricettivi rispetto alla proposta del segretario del Pci, e prescinde un po' sbrigativamente dagli attori politici che occupavano la scena dell'Italia di allora: con i loro difetti anche gravi, ma con il peso di una rendita politica che non rendeva facile un'uscita a sinistra dalla crisi. Tentarla, per il Pci, sarebbe forse stato possibile, ma in una prospettiva che assai di rado una forza politica in carne e ossa accetta: quella di lavorare per una generazione futura. Una generazione, però, che, entrata a sua volta in scena, di una bussola che orienti la sinistra sente oggi fortemente la mancanza.
Aldo Agosti

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Lucio Magri

1932, Ferrara

Nato a Ferrara il 19 agosto 1932 (e poi cresciuto a Bergamo), nei primi anni Cinquanta è fra i redattori della rivista mensile "Per l'azione", un organo dei giovani della Dc. Nel 1955, esce un altro periodico democristiano di sinistra, "Il Ribelle e il Conformista", di cui Magri è direttore con Carlo Leidi. Lì utilizza lo pseudonimo Cesare Colombi. In seguito entra nella redazione della rivista, "Il Dibattito politico", che, legata all'orbita ideologica di Franco Rodano, è diretta da Mario Melloni, con condirettore Ugo Bartesaghi. Tra i redattori: Chiarante, Ugo Baduel, Giorgio Bachelet, Edoardo Salzano e altri. Programma dichiarato è "la ricerca delle necessità che sollecitano il mondo cattolico e quello comunista al dialogo". «Potrà...

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