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«Con Lo scherzo, il "tono" di Kundera è già nato splendidamente: quel dono di unire la rabbia e il gioco, l'odio e la tenerezza, la solidità e il capriccio, la disperazione e la melodia, il nichilismo e il sogno... Quello che non finisce di avvincerci è la fluidità: il dono supremo del narratore. Questa fluidità nasce da una totale dedizione ed effusione del corpo, della mente e dell'anima: incanta e conquista il Tempo, il Tempo della narrazione e del mondo, dove si installa come signore; e di lì, dal cuore stesso del tempo, si rivolge ad ognuno di noi, come diceva Tolstoj, per "contagiarci", come se ciascuno di noi fosse il più fraterno dei complici». - Pietro Citati
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Primo romanzo attraverso il quale già si rivela un grande narratore. Bastano le prime righe, anche per chi non ha letto ancora nulla di suo, per vedere che qui c'è della stoffa; un bel mucchio di stoffa. La straordinaria capacità di avvolgere e coinvolgere, con tale fluidità di prosa, è cosa rara e per ciò, assolutamente preziosa: è un gran bel dono. Ed è sempre affascinante il suo rapporto con la musica; la sensibilità e la competenza con cui la tratta, contribuiscono a rendere la storia interessante, qualsiasi storia egli racconti. È questa la potenza della letteratura, quando la si sa fare bene, fin dall'inizio. Può essere molto pericoloso, per chi ne è dotato, esercitare il proprio senso dell'umorismo con chi ne è privo. Allora, è sufficiente un'ingenua boutade per portare grossi guai se si ha a che fare con indottrinate gnoccolone e gnoccoloni nella Cecoslovacchia ante Primavera di Praga. Ed è attorno a questo concetto che Kundera ricama, con maestria, questa sofferta vicenda umana sotto la grande ala della Storia, che se non fosse per le troppe parentesi*, viaggerebbe sulle 5 stelle. «Sì. Tutti i fili erano spezzati. Interrotti gli studi, interrotta la partecipazione al movimento, il lavoro, i rapporti con gli amici, interrotto l'amore e la ricerca dell'amore: si era, insomma, interrotto l'intero corso, dotato di senso, di una vita.» *Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso. UMBERTO ECO - Le 40 regole di scrittura.
Alcuni mesi fa sedevo a Firenze ascoltando Crescenzi e Piperno discettare di questioni kafkiane, quando d'un tratto l'esimio traduttore - attuale curatore dei Meridiani di Kafka, di prossima pubblicazione -, sentì il bisogno di interrompere bruscamente il nodo del discorso per consigliare, senza mezzi termini, la lettura di questo romanzo di Kundera. Dalla pacata sobrietà di uno studioso è raro ascoltare consigli spassionati ed entusiastici: motivo per cui mi sono fiondato a leggere "Lo scherzo". Mi sono accorto subito, fin dalle prime righe - "così, dopo molti anni, mi ritrovai a casa", incipit burlesco che sembra far reagire le prime righe di Moby Dick con quelle di Proust, simulando la ripresa di un tema abbandonato - che il romanzo in questione aveva tutte le stimmate del capolavoro. Ci troviamo di fronte ad un romanzo polifonico ma al tempo stesso estremamente lirico e intimo, dove Kundera, nell'alter ego di Ludvik, fa i conti con una intera generazione perduta, travolta dalla storia: "noi volevamo salvare il mondo. In realtà, col nostro messianismo, c'è mancato poco che non lo distruggessimo, il mondo. Forse loro, col loro egoismo, lo salveranno". L'epilogo finale è un capolavoro di sensibilità artistica.
Mi ha stupito ed affascinato ancora una volta. Questo libro racconta di tutto:cultura,amore,politica,amicizia,religione Assolutamente meraviglioso. .
Recensioni
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(scheda pubblicata per l'edizione del 1986)
scheda di Bardi, M., L'Indice 1986, n. 7
È un peccato che " Lo scherzo " (pubblicato nel 1967, apparso in Italia a cura di Mondadori nel '69, l'anno del suo ritiro in Cecoslovacchia) non colga di sorpresa il lettore, che anzi ha forse l'impressione di essere investito da una tempesta di opere di Kundera, scatenata dal fulmine a ciel sereno del successo estivo de " L'insostenibile leggerezza dell'essere ". Ma poiché " Lo scherzo ", opera giovanile dell'autore ceco, racconta l'esperienza tutt'altro che lieve dell'espulsione dal partito e del lavoro in miniera di Ludvik, studente universitario, la memoria corre, piuttosto che al più recente romanzo, a " Il libro del riso e dell'oblio " (1978), a vicende segnate dal dolore per la perdita della libertà e di quell'atteggiamento definito "lirico" che è la molla dell'adesione a un'ideologia onnicomprensiva e al mito del progresso. È ancora un personaggio femminile, Markéta, a rivestire questo ruolo di ortodossia politica ed è significativo il fatto che il rovescio di fortuna di Ludvik dipenda dalla battuta di una cartolina spedita a lei: l'ottimismo socialista ha un sorriso stereotipato e non ammette gioco, ironia, critica. L'autore fa mostra della sua già nota abilità nei trapassi temporali e nell'incastro delle situazioni, ma tale maestria si fonde con uno spirito ancora estraneo al libero estro parigino ed è invece traboccante del malumore poi esploso nella Primavera, che fece dire allo stesso Kundera: "Che festa fu, che carnevale!".
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