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Romanzo di esordio di Milan Kundera, “Lo scherzo” esce alla vigilia della “primavera di Praga” e viene presto tradotto in più lingue, essendo una palese denuncia di quel comunismo burocratico e poliziesco che ha trasformato la Cecoslovacchia in una prigione. E nel romanzo, del resto, si parla di prigione vera e propria, là dove finisce il protagonista a causa di una battuta scritta a un’ex innamorata su una cartolina (“Viva Trotzkij”). Scherzo innocente agli occhi del giovane Ludvik, una provocazione invece per la nomenklatura che regge i destini di quel paese totalitario. Scontata la pena, la ferita è sempre là, taciuta ma non rimossa, anche perché sono gli stessi ideali di gioventù a essere stati sbeffeggiati (il militante Ludvik è stato espulso dal partito comunista a cui aveva aderito con entusiasmo). E anche dopo, quando tenta di vendicarsi seducendo la moglie di Pavel, l’amico che non ha impedito la sua caduta in disgrazia, nulla succede come previsto, il gusto amaro dello scherzo non riuscito rimane sempre in bocca, perché la realtà è sfuggente, incontrollabile, assurda, quasi “kafkiana”, come è giusto che sia nella patria di Franz Kafka.
Primo romanzo attraverso il quale già si rivela un grande narratore. Bastano le prime righe, anche per chi non ha letto ancora nulla di suo, per vedere che qui c'è della stoffa; un bel mucchio di stoffa. La straordinaria capacità di avvolgere e coinvolgere, con tale fluidità di prosa, è cosa rara e per ciò, assolutamente preziosa: è un gran bel dono. Ed è sempre affascinante il suo rapporto con la musica; la sensibilità e la competenza con cui la tratta, contribuiscono a rendere la storia interessante, qualsiasi storia egli racconti. È questa la potenza della letteratura, quando la si sa fare bene, fin dall'inizio. Può essere molto pericoloso, per chi ne è dotato, esercitare il proprio senso dell'umorismo con chi ne è privo. Allora, è sufficiente un'ingenua boutade per portare grossi guai se si ha a che fare con indottrinate gnoccolone e gnoccoloni nella Cecoslovacchia ante Primavera di Praga. Ed è attorno a questo concetto che Kundera ricama, con maestria, questa sofferta vicenda umana sotto la grande ala della Storia, che se non fosse per le troppe parentesi*, viaggerebbe sulle 5 stelle. «Sì. Tutti i fili erano spezzati. Interrotti gli studi, interrotta la partecipazione al movimento, il lavoro, i rapporti con gli amici, interrotto l'amore e la ricerca dell'amore: si era, insomma, interrotto l'intero corso, dotato di senso, di una vita.» *Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso. UMBERTO ECO - Le 40 regole di scrittura.
Alcuni mesi fa sedevo a Firenze ascoltando Crescenzi e Piperno discettare di questioni kafkiane, quando d'un tratto l'esimio traduttore - attuale curatore dei Meridiani di Kafka, di prossima pubblicazione -, sentì il bisogno di interrompere bruscamente il nodo del discorso per consigliare, senza mezzi termini, la lettura di questo romanzo di Kundera. Dalla pacata sobrietà di uno studioso è raro ascoltare consigli spassionati ed entusiastici: motivo per cui mi sono fiondato a leggere "Lo scherzo". Mi sono accorto subito, fin dalle prime righe - "così, dopo molti anni, mi ritrovai a casa", incipit burlesco che sembra far reagire le prime righe di Moby Dick con quelle di Proust, simulando la ripresa di un tema abbandonato - che il romanzo in questione aveva tutte le stimmate del capolavoro. Ci troviamo di fronte ad un romanzo polifonico ma al tempo stesso estremamente lirico e intimo, dove Kundera, nell'alter ego di Ludvik, fa i conti con una intera generazione perduta, travolta dalla storia: "noi volevamo salvare il mondo. In realtà, col nostro messianismo, c'è mancato poco che non lo distruggessimo, il mondo. Forse loro, col loro egoismo, lo salveranno". L'epilogo finale è un capolavoro di sensibilità artistica.
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