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Anno edizione: 2023
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Scritto molto bene ed utile ad individuare le problematiche insite nel movimento. Allo stesso tempo è un'opera solamente critica, che denuncia mercificazione ed escapismo ma che tralascia totalmente la forza viva sprigionata dall'esperienza. Provate a sostituire il termine "Ayahuasca" con il termine "cinema" o "letteratura". C'è chi li mercifica, ma ciò non toglie nulla all'esperienza estatica. Anche le questioni etnografiche mi sembrano confuse. Prima l'autore sostiene che i nativi veri non esistono, poi lascia intendere che certe pratiche dovrebbero essere condotte solo da nativi veri. In un certo senso ha ragione (i rituali trasportati in occidentali sono atomizzati, decontestualizzati, ecc) ma anche molto torto (raggiungendo persone diverse, creano nuovi significati, linguaggi, aggregano comunità, ecc). Mi sembra che si contraddica due volte dicendo che tutto è in divenire e nulla puro e poi lamentando che i rituali sono stati contaminati. Trovo poi superficiale il giudizio che dà dei partecipanti ai rituali in occidente. È vero, uno si fa di kambo e poi torna a lavorare all'Esselunga. Io credo che vorrebbe costruire una società nuova e se non lo fa è per motivi di contingenza (esattamente come successo a Black Elk, ma al contrario). Non mi sembra un atteggiamento da ingenui o ipocriti, ma da sconfitti. L'ultima parte del libro è la peggiore. De Mattei parte per la tangente, uscendosene con Hitler che "sciamanizza", Papa Francesco inascoltato, la natura che ha bisogno dell'uomo come tutore... Mi sembra che qui si riveli la sua mentalità di cattolico sessantenne (insegna all'Università Pontificia...) che emette giudizi su una cosa senza esserne entrato dentro, dunque da vero antropologo quale è. Dal libro emerge come l'autore l'Ayahuasca non l'abbia provata. L'incontro con la pianta è oggettivo (nel senso di soggettivo) e strabiliante. Banalizzarlo è il sintomo di una prospettiva molto limitata.
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