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Descrizione


La scienza è stata fatta per l'uomo o l'uomo è fatto per la scienza? Questa domanda apparentemente provocatoria e un po' bizzarra costituisce, in ultima analisi, il filo rosso del volume, frutto di un ventennio di ricerche. A ben vedere si tratta di un interrogativo di grande attualità in un momento di confusione in cui si scontrano visioni apocalittiche della scienza e della tecnica intese come strumenti di morte e di dominio e acritiche e ingenue apologie del sapere scientifico di matrice tardo-positivistica che rifiutano ogni idea di limite e ogni condizionamento morale all'opera degli scienziati. Riflettere su come l'Illuminismo - con il suo peculiare umanesimo, sostanziato dalla scoperta della libertà, ma anche della responsabilità dell'uomo - abbia interpretato originalmente e trasformato aspetti decisivi della Rivoluzione scientifica di Bacone, Cartesio e Galilei può forse davvero aiutare a comprendere la via migliore per individuare il giusto rapporto tra i saperi e il potere, tra le forme di conoscenza e la centralità dell'uomo come fine ultimo e indiscusso. La Rivoluzione scientifica viene analizzata partendo dall'idea dell'assoluta centralità dell'individuo come criterio di costruzione e definizione dei saperi, associato al principio dell'utilità delle scienze per l'emancipazione. "L'uomo è il termine unico dal quale occorre partire e al qual occorre far capo", spiegava con toni appassionati Diderot proprio nella voce "enciclopedia".
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Dettagli

2008
XXII-375 p., Brossura
9788802077802

Voce della critica

I saggi qui ripubblicati (apparsi per la massima parte tra il 1980 e il 1989) affrontano il problema del rapporto tra Illuminismo e scienza nel Settecento seguendo due temi trasversali: la natura della rivoluzione scientifica, il suo rapporto con l'Illuminismo e, al suo interno, la formazione dello scienziato, problema discusso anche in riferimento alla figura di Galilei nella cultura italiana del XVII e del XVIII secolo; inoltre, le scienze alla fine del Settecento e il loro confronto con la filosofia della natura. La prospettiva generale è unitaria. I movimenti illuminista e scientifico furono "due fenomeni distinti, certo sempre interagenti ma anche autonomi nelle loro motivazioni di fondo", e se si svilupparono "alimentandosi vicendevolmente", tuttavia furono "esperienze intellettuali e sociali differenti che meritano di essere indagate separatamente sul piano storiografico". L'impostazione storiografica, invece, è ambivalente. Il primo problema è infatti svolto secondo una storiografia che si potrebbe dire etico-politica, la quale, ad esempio nella storia e fortuna di Galilei, illustra le tensioni che sorsero in Italia quando ci si dovette misurare con il pensiero scientifico moderno. In quei conflitti civili, morali e politici, gli intellettuali si impegnarono a contrastare l'oppressiva presenza ecclesiastica e a conquistare la libertas philosophandi.
Nell'analisi delle scienze e dei linguaggi culturali di fine Settecento si fa invece più netta un'altra immagine dell'Illuminismo, interpretato non più "come un grande fenomeno politico in bilico tra utopia e riforma con al centro, in veste di protagonista, una piccola élite coraggiosa, un partito di filosofi, talvolta una setta, un movimento di uomini e di idee decisi trasformare la realtà"; oltre tale storia politica, e oltre anche la storia sociale, si apre la prospettiva di "una nuova storia culturale dell'Illuminismo tutta da costruire". "Molto più utile può invece rivelarsi l'adozione di un modello di analisi in cui siano finalmente integrati il momento della produzione con il momento del consumo". Questa prospettiva viene privilegiata per ricostruire la crisi della cultura scientifica di fine secolo. Allora la figura del savant, che si era formata in Francia alla fine del Seicento e si era imposta nel continente unificando le molteplici istituzioni e forme scientifiche intorno al modello accademico, sembrò andare in frantumi. Sorse un linguaggio in cui cosmogonie massoniche e religiosità "illuminata" si mescolavano all'attenzione nuova per fenomeni della vita sociale e della natura che sembravano sfuggire allo schema newtoniano. Ferrone si avvicina a questa letteratura con una disponibilità che vuole essere maggiore di quella mostrata da Cassirer (e di recente da Darnton), e l'analisi della scienza europea di fine secolo, a mezzo tra Lavater e il magnetismo, tra nuove forme di sociabilità e difese delle istituzioni e della scienza meccanicista, costituisce certo uno degli aspetti più interessanti del libro.
Nella frattura tra la scienza ufficiale e la scienza "popolare" si scorge non solo la contestazione che i savants allora subirono sia da altri scienziati animati da altri interessi, sia da parte dell'opinione pubblica, ma anche la congiunta crisi del modello scientifico fin lì dominante. A simbolo di tale filosofia della natura Ferrone colloca il profeta filosofo Carrà e a suo capo il Diderot del De l'Interprétation de la nature. La filosofia scientifica di Diderot è ricostruita, in pagine che sono tra le migliori del volume, in riferimento pure alla polemica che lo divise da d'Alembert sulla valutazione del modello matematico newtoniano, discusso da Diderot con competenza pari (quindi straordinaria) a quella del suo interlocutore.
Per l'altro lato, l'autore esplora l'universo culturale degli intellettuali e della società di fine secolo e la diffusione della filosofia popolare della natura, spesso pervasa da "elementi di ciarlatanismo" e formata, oltre che dall'ormai consolidata attenzione all'elettricità, dal mesmerismo, dalla fisionomica, dalla rabdomanzia, dalla medicina. Scienze che attraevano sia perché parevano spiegare campi dell'esperienza umana ancora inesplorati, sia perché, mi sembra, consentivano metafore che, adatte a pensare il rapporto tra il visibile e l'invisibile, parevano sciogliere il mistero del rapporto tra il fisico e il morale. Ma si affermarono pure altre scienze, qui neglette, come la biologia, la vulcanologia e la geologia, che costituirono la nuova frontiera per la filosofia naturale. Da un lato fu qui la radice del fascino per la morfologia (si pensi alle meravigliose pagine di Goethe a Palermo); e per la scienza inglese, di nuovo dominante sul continente. Le voci di Priestley, di Erasmo Darwin, di Banks e di Hamilton furono infatti essenziali punti di riferimento nella tormentata cultura della fine dell'Illuminismo. Girolamo Imbruglia

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Conosci l'autore

Vincenzo Ferrone

(tudioso dell'Europa di Antico Regime e Illuminismo, ha insegnato a Venezia, Ca' Foscari; Parigi, Collège de France; Princeton, Institute for Advanced Study. Attualmente è ordinario di Storia Moderna presso l'Università di Torino. Tra le sue ultime opere, per l'editore Laterza, La società giusta e equa (2008), Lezioni illuministiche (2010), Storia dei diritti dell'uomo (2014)

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