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Descrizione


Il libro vuole essere un contributo al dibattito sulla scuola secondaria e sulla riforma del ministro Berlinguer. Le questioni che secondo l'autore sono irrisolte all'interno della riforma sono i contenuti dell'insegnamento e la direzione che la scuola dovrà seguire nel prossimo futuro. I tratti caratteristici della scuola odierna sono, secondo l'autore, il progressivo abbandono dei capisaldi dell'istruzione superiore e l'omologazione verso un'istruzione mediocre e approssimativa. Questa nuova "scuola per consumatori" è la scuola che ha rinunciato al suo ruolo di formazione, che ha posto tra i suoi obiettivi l'interscambiabilità delle discipline, che non forma più al suo interno l'élite intellettuale del paese.
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Dettagli

5
2000
144 p.
9788807470219

Voce della critica


recensione di Santoni Rogiu, A., L'Indice 1998, n. 6

A distanza di circa un anno da "La scuola sospesa. Istruzione, cultura e illusioni della riforma" di Ferroni, ecco ora il volumetto di Lucio Russo. Italianista il primo, fisico e matematico il secondo. I due condividono la mira polemica contro la pedagogia contemporanea italiana la quale, con l'elaborazione dei cosiddetti 40 saggi (pedagogisti, psicologi, sociolo-gi, gente d'immagine e massmediologi soprattutto), coordinata - non "presieduta", come scrive Russo - dal pedagogista Maragliano, viene in sostanza incolpata di aver emarginato gli specialisti dei tradizionali campi disciplinari scolastici e di avere da sola osato indicare che cosa, perché e come si debba insegnare alle nuove generazioni. Ferroni e Russo hanno reagito vivacemente a questo che hanno vissuto come un sopruso, aggravato dall'ipotesi del "riordino dei cicli", visto come altra analoga malefatta della linea Berlinguer-Maragliano; se il volumetto di Russo esce con ritardo lo si deve a un malridotto hard disk che ne ha nascosto a lungo il testo nei suoi indecifrabili recessi. Io condivido la diffidenza contro la pedagogia che, per le sue consuetudini con le stanze dei bottoni di viale Trastevere, possiamo chiamare "trasteverina", più attenta a supportare la politica della Pubblica Istruzione del momento che non a produrre scientificamente per dare credibilità a una disciplina tuttora poco stimata in giro (spesso per colpa dei suoi stessi cultori), ma non arrivo a pensare - come fa Russo - che il progetto Berlinguer-Maragliano malvagiamente persegua "l'obiettivo di deconcettualizzare l'insegnamento" alleggerendone i contenuti consacrati, a partire dalla geometria euclidea, dipinta come "conditio sine qua non* per una scuola appena degna di questo nome. L'idea centrale di Russo è infatti che la via regina dell'apprendimento sia solo e sempre quella ipotetico-deduttiva, concettuale, razionale. Ben altre invece appaiono le genericità e le contraddizioni del progetto ministeriale (negli ultimi tempi tornato in ombra).
C'è però un momento dell'analisi di Russo su cui concordo del tutto: l'albero verso cui la nostra scuola tende la non più pargoletta mano è - tristemente - la formazione del consumatore. Ma solo o soprattutto la scuola e per propria colpa? Non è questo ormai un effetto endemico in ogni forma di vita collettiva, amplificato ora per ora fino al parossismo dai mass media? La logica consumistica non è una novità: i suoi segnali nacquero con la prima rivoluzione industriale già all'epoca del "Manifesto", di cui ricorre quest'anno il centocinquantesimo anniversario, e dai nostri primi anni trenta sono propagandati come il rimedio imprescindibile perché il mercato consenta alti livelli alla produzione che a sua volta deve mantenere lo stato sociale. La formazione del consumatore è alla base dell'ipertrofia pubblicitaria, dell'"audience" come primo criterio di valore e della supervalutazione dei suoi modelli. Di fronte ai nuovi stereotipi la massificazione come "soapizzazione" del gusto e del giudizio viene da sé. È anche questo un fenomeno pedagogico di massa, del quale gli stessi pedagogisti dovrebbero occuparsi di più, non distoglierne lo sguardo. Sicuramente la privilegiata formazione del consumatore non piace a nessuno (salvo a chi giova).
La globalizzazione poi ha chiuso il cerchio. Quanti però hanno reagito? Chi ha contestato, ad esempio, il senso del logo "Pubblicità = Progresso"? Non basta lamentare che la scuola non è più l'agenzia formativa principale e che ha ceduto lo scettro ai mass media a loro volta piegati alla logica pubblicitaria, se non se ne analizzano le ragioni, si individuano le interazioni e si ipotizzano le contromisure.
Il discorso di Russo raffigura invece la scuola del futuro come una realtà "super tempus" retta da leggi eterne che non subiscono negli anni alcun mutamento e per di più come una monade senza porte né finestre che trova nelle proprie medesime leggi i parametri di validazione. Quindi, una scuola corpo separato o addirittura con effetti regolatori della cultura in senso lato, che proietta il suo ordine razionale non solo sugli alunni ma sulla società intera. Ma come si può dimenticare la retroazione del mercato del lavoro sull'assetto degli studi, le ricadute allarmanti di un sistema che perde per la strada una percentuale consistente di obbligati che non ottengono la licenza media, più un'altra più consistente di ragazzi che non concludono le secondarie e infine una quota ancora maggiore, sull'80 per cento, che pianta l'università prima della laurea?
Come non notare che questa scuola "democratica" è all'atto pratico più selettiva di quella pre-Sessantotto fin dall'obbligo scolastico? Che cosa rimedierebbe ripristinare in tutto il loro rigore i contenuti di un dì? La scuola degli anni di Cavour non è quella degli anni di Gentile e meno che mai la nostra, che bene o male si affaccia al 2000. Il rilancio della scuola, difficile ma non improponibile, va tentato inquadrando la dialettica delle relazioni che essa stabilisce con il concreto (quel concreto che sembra la bestia nera di Russo) sociale, non più per linee interne, spostando solo i pezzi sulla scacchiera. Con tutto il rispetto per il grande alessandrino e per il genio di La Haye.


recensione di De Federicis, L., L'Indice 1998, n. 6

Lucio Russo (Venezia, 1944) ha insegnato fisica generale e attualmente è ordinario di calcolo delle probabilità all'Università "Tor Vergata" di Roma. Il suo "Segmenti e bastoncini", uscito a marzo, polemizza contro la riforma prospettata dal ministro Berlinguer, che, omologando la scuola italiana al modello americano, ne cancellerebbe l'identità culturale e abbasserebbe i livelli di competenza. Dei sette capitoli, suddivisi in trentaquattro brevi paragrafi, cinque riguardano il processo di trasformazione in peggio della scuola occidentale: dall'ipotesi di una scuola di massa ridotta alla funzione di formare consumatori, al declino dell'insegnamento scientifico, al falso mito dell'informatica, alle particolarità del caso italiano nel contesto europeo. E tra le cause una delle principali viene individuata nel distacco dalle radici della razionalità antica e delle lingue classiche. Gli ultimi due capitoli contestano la linea seguita da Berlinguer, e dal pedagogista Roberto Maragliano, e avanzano l'idea alternativa del rilancio di "una scuola secondaria di alto livello", che almeno in Italia mantenga "un contatto privilegiato con la civiltà classica". Punto forte, e controverso, dell'opuscolo è l'invito a interrompere la funzionalità della scuola alla società (all'innovazione multimediale e al mercato), per rilanciare una scuola disinteressata; punto certamente debole è aver identificato tale scuola, disinteressata oltre che efficiente, nel modello del liceo classico. L'intervento di Russo ha avuto dai giornali un'attenzione fuori del comune.
Sul "manifesto", dopo un prima benevola recensione di Napoleone Colajanni (7 aprile) e una replica negativa di Franco Carlini (12 aprile), la discussione è continuata e si è fatta specialmente interessante nelle voci di Marcello Cini, uno scienziato, e dello stesso Maragliano (29 aprile). Intanto, sempre a marzo, mentre Luigi Berlinguer illustrava il suo progetto all'Accademia dei Lincei, i giornali davano notizia del programma di riforma e del "Rapporto verso la scuola del 2000" presentato dalla Confindustria. Anche qui, ma con ragioni opposte, si condanna il nostro sistema educativo: inefficiente per arretratezza in confronto ai paesi avanzati, e bisognoso perciò di risanamento mediante un largo impiego di nuove tecnologie, e flessibilità, competitività. Dunque, con una certa introduzione di "quasi mercato", riassume sulla "Stampa" Mario Deaglio (21 marzo), il quale conclude, parafrasando un detto celebre, che la scuola "è troppo importante per essere lasciata a professori, presidi e provveditori". La linea confindustriale ha riscontri nell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), che, al termine di uno studio condotto da Norberto Bottani, promuove il ministro Berlinguer e chiede tuttavia maggiore radicalità, maggiore collegamento tra scuola e lavoro (ampio risalto su "Il Sole - 24 Ore", 8 maggio). Intanto esce da Pratiche uno spesso volume, il cui titolo suona come una vera provocazione: "Buone notizie dalla scuola". È a cura di Antonietta Lelario, Vita Cosentino, Guido Armellini, e vi scrivono, riferendo del loro mestiere, una cinquantina di insegnanti che dalla scuola continuano a trarre emozioni e passioni. Varrà la pena parlarne ancora. Intanto, dalla parte delle donne, interviene anche "Leggendaria", che dedica alla scuola il "Tema" di aprile e lo intitola "Oltre la soglia", puntando quindi all'esperienza al di là del dibattito istituzionale.

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