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per me l'autore ha uno stile di scrittura noiosissimo, soporifero
Da leggere. Una piacevole scoperta di qualche anno fa.
Lo svizzero Friedrich Glauser (1896-1938), non famosissimo in patria, pressoché del tutto sconosciuto da noi, continua forse a pagare anche da morto l'atipicità della sua esistenza e l'eccentricità delle sue passioni culturali con una sottovalutazione del tutto immeritata, certo non giustificabile alla luce della sua produzione letteraria, godibile e leggibilissima. Ribelle, drogato, inquieto, più volte arrestato, ricoverato spesso in manicomio, volontario nella Legione Straniera: ma quasi nulla di questa sua sofferta esistenza trapela nei suoi romanzi, che in genere vengono classificati come "gialli", ed affiancati - non senza qualche forzatura- ai nomi di Duerrenmatt e Simenon. Con il primo Glauser ha in comune l'ambientazione, il paesaggio, però più disteso e innocente di quello duerrenmattiano, forse perché la sua Svizzera è preferibilmente la campagna bernese o jurassiana degli anni '30, ancora indenne dalle trasformazioni capitalistiche, ancora tutta fondue e sanatori; pertanto meno percorsa da inquietudini sociali e meno scalfibile da insofferenze politiche. Al Maigret di Simenon, invece, è per più versi assimilabile il protagonista delle storie di Glauser, il sergente Jakob Studer, funzionario della polizia bernese, declassato da ispettore a semplice sergente e causa di un suo coinvolgimento in un "affaire" bancario. Quasi sessantenne, robusto ma col volto liscio e magro, baffuto e brizzolato, "non sembra affatto uno svizzero". Egli è, come Maigret, un poliziotto particolare, con una particolarissima idea della giustizia: dea bendata più della Fortuna, è un mito, un'utopia, e non ha nulla da spartire con le cose di questo mondo. Così l'assassino è spesso più vittima dell'ucciso, ed è strumento di una malvagità che lo sovrasta e a cui non è riuscito a opporsi: Studer lo salva, incastrando solo i mandanti, gli insospettabili, e scardina così ogni morale farisaica, ogni gioco di potere.
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