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Ho trovato questo libro molto interessante e avvincente, descrive molto bene la comunita' bengalese di Londra, in tutti i suoi aspetti forse incomprensibili dall'esterno. Mi sono piaciuti molto la relazione fra le due sorelle lontane e il personaggio di Razia. L'unico neo e' lo stile, a volte un po' pesante e non facile da leggere. Nel complesso, consigliato.
Negli ultimi anni, soprattutto in Inghilterra, il fenomeno della letteratura "postcoloniale" è esploso con effetti a volte disastrosi. Ricorda un pò quanto Spike Lee qualche anno fa diceva che in America bastava essere neri per poter fare film, anche senza idee. Monica Alì ha ben poco da dire di nuovo sull'argomento e sulla dicotomia integrazione/integrità e lo dice anche in modo abbastanza noioso.
Un libro che permette di capire le difficoltà a cui vanno incontro le popolazioni extra-comunitarie per inserirsi in una realtà occidentale ... in questo caso la popolazione del bangladesh a Londra. Carino, ma forse più adatto per un pubblico femminile e con 100 pagine di troppo.
Recensioni
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Il titolo originale del romanzo dell'esordiente Monica Ali, Brick Lane, colloca con precisione la vicenda in una strada di Londra che racchiude l'esistenza quotidiana della protagonista, Nazneen, e di tanti altri immigrati come lei. Giovanissima, Nazneen viene spedita in Inghilterra per sposare l'uomo che il padre ha scelto per lei, Chanu. Comincia così la sua vita di docile moglie islamica, sottomessa al marito quarantenne e chiusa in casa, in mezzo a una città di cui non parla la lingua. La sua solitudine è rotta soltanto dai ricordi d'infanzia (il villaggio, una madre morta suicida dopo una vita trascorsa in lacrime a martirizzarsi in una passività portata all'estremo) e dalle lettere che scambia con la sorella Hasina, rimasta in Bangladesh. Fuggita a sedici anni per sposare l'uomo che amava, Hasina è una foglia al vento di quel fato che anche Nazneen sente incombere su di sé, grande messaggio materno: mentre a un'estremità del mondo, oltre mitiche distanze (i sette mari e tredici fiumi del titolo italiano), una sorella è intrappolata in un brutto appartamentino di un quartiere-ghetto, all'altro capo l'altra sorella è trascinata qua e là dalle onde del destino, da moglie a prostituta a serva.
La voce dell'una si vorrebbe contrappunto a quella dell'altra, ma in realtà nel tessuto del romanzo la voce di Hasina diventa presto fievole, emanazione quasi fiabesca di quel paese d'origine che è più mitico che reale. Resta in primo piano la vita di Nazneen, muta e attenuata sotto la campana di vetro della sua estraneità: negli anni, Nazneen diventa madre, si affeziona al logorroico, velleitario ma mite Chanu, viene travolta dalla passione per il giovane Karim, ambizioso attivista islamico, e intanto lentamente nell'ombra matura una sua forza - e una sua indipendenza economica con il lavoro di cucitrice a cottimo - che le permetterà, alla fine, di riscattare se stessa e le figlie dal ruolo di semplici pedine di giochi altrui.
Il romanzo ha avuto un notevole successo in patria, sintomo forse anche dell'interesse britannico per quella cultura altra che gli cresce in casa, quell'esotismo che vanno cercando i turisti a caccia di sapori d'Oriente tra i ristoranti della recentemente trasformata Brick Lane, e di cui la stessa Ali sottolinea ironicamente gli aspetti fasulli. Anche dai fornelli di Nazneen si leva un accattivante odore di spezie, e lei appare in bilico tra due mondi, e quindi capace di cogliere in entrambi aspetti ormai invisibili a chi ci è dentro; ma il suo sguardo, pur dotato di un'acutezza stupita che fa di lei un'ingenua filosofa delle piccole cose, raramente si spinge più in là della sua finestra. Sono le figlie non ancora adolescenti a portarle l'Inghilterra in casa, e sono ancora le figlie il movente che le dà forza per maturare un finale in chiave femminista che appare, forse, un po' troppo trionfale - a meno che non sia da intendersi come ironica la battuta finale dell'amica Razia: "Siamo in Inghilterra, puoi fare tutto quello che vuoi".
Ma il libro avvince, a mio parere, per quelli che forse, da un altro punto di vista, potrebbero essere i suoi stessi limiti: il lento, voyeuristico sguardo sul tempo recluso di una donna, quel dispiegarsi della quotidianità nel suo peso ora lieve ora terribile, quel penetrare dentro una solitudine che si presume tanto più inviolata perché racchiusa sotto un sari anziché un tailleur.
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