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Lo sguardo dello Stato - James C. Scott - copertina
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sguardo dello Stato

Descrizione


L’ottica con cui lo Stato guarda alla società e alla natura è intenzionalmente ultra-semplificatrice perché, per tutto comprendere (e controllare), deve inevitabilmente comprimere la diversità del territorio e della sua popolazione all'interno di griglie standardizzate più facili da gestire. Ricostruire il passaggio epocale che ha portato all'attuale configurazione di potere - tramite l'istituzione di mappe, censimenti, cognomi fissi, elenchi catastali, pesi e misure unificati ... - è essenziale per cogliere l'arte di governo moderna, con la sua pretesa di razionalità - sconfessata dai disastri provocati dall'ingegneria sociale ultra-modernista nel ventesimo secolo - e l'invasività dei suoi dispositivi di controllo, sempre più capillari. Queste semplificazioni della natura, della società e persino dell'animo umano sono state fatte a scapito delle pratiche vernacolari, informali e non codificabili, che Scott definisce ‘mètis’. Ovvero quelle forme di conoscenza radicate nell'esperienza che proprio per la loro complessità rimangono incompatibili con le esigenze di schematizzazione proprie di qualsiasi ordine sociale pianificato e centralizzato, confermandosi cosi come le forme di resilienza più efficaci per sottrarsi allo sguardo omologatore dello Stato.
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Dettagli

2019
21 febbraio 2019
Libro universitario
496 p., ill. , Brossura
9788833020327

Valutazioni e recensioni

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Federico
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Non sono uno "specialista", tantomeno mi ritengo preparato per recensire un libro di questo calibro, ma ho usato le riflessioni di Scott per scrivere la mia tesi magistrale; le riflessioni sul potere coercitivo sono abbastanza illuminanti (per chi non avvezzo alla critica "anarchica" dello stato), e per quanto possa essere ammessa una critica eccessivamente generalista alla forma statale qui proposta, i dubbi che emergono sono tanti. Se lo stato è coercitivo ma è diventato un "abitudine", come si sradica questa abitudine? Se chi ha tentato di ribellarsi è finito col soccombere, come si può creare una forma di resistenza duratura? (a questo domanda potrebbe rispondere un altro saggio di Scott). Inutile dire che il libro è comunque meraviglioso, una volta letto non sono più in grado di guardare ai meccanismi statali con lo stesso sguardo. E alla luce dell'attuale invasività delle pratiche burocratiche, della tassazione, di nuove forme di controllo, degli accordi privati-stati sempre più solidali, questo libro è un fiore che sboccia nel mare del benpensare. Mi ha piacevolmente colpito vedere una ragazza che leggeva questo libro per un esame universitario a Torino.

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Voce della critica


Scott, come lo stato ci guarda
di Matteo Moca

Nella sua Introduzione a Lo sguardo dello stato, pubblicato in questi giorni da Elèuthera, l'antropologo James C. Scott scrive: «questo libro è nato da una divagazione intellettuale divenuta così avvincente da indurmi ad abbandonare del tutto l'itinerario originario». Obbediscono infatti a questo andamento centrifugo e trascinante i saggi che si susseguono in questo nuovo e prezioso volume curato da Stefano Boni, che conferma ancora volta, se mai ce ne fosse bisogno, l'importanza dell'opera di Scott.

Il nucleo centrale del suo lavoro si sviluppa attorno al dislivello, alle sue cause e alle sue conseguenze, tra chi esercita il potere centrale e chi invece si trova a subirlo, siano essi gruppi vernacolari, minoranze o popoli dell'antichità. Testimonianza decisiva di questo lavoro di scavo è Il dominio e l'arte della resistenza. I verbali segreti dietro la storia ufficiale(sempre pubblicato da Eleuthera) dove Scott legge e interpreta i comportamenti codificati tra i dominanti e i dominati, mettendo in luce come essi siano ammantati dall'inganno e dal conflitto, producendo un documento unico per arrivare a comprendere quelle che sono le forze che regolano i principi di subordinazione ma anche quelli della rivolta e della resistenza, che si condensano proprio nei «verbali segreti del titolo» e nei sistemi di organizzazione occulti. Anche questo nuovo Lo sguardo dello stato si assesta su simili versanti, con la sua analisi della storia minuta, una microstoria che Scott ricostruisce attraverso lo spoglio e il confronto di documenti di archivio e documentazioni archeologiche, e con lo studio della vita quotidiana: come scrive Boni nella sua Introduzione, sono questi due elementi a permettere all'antropologo di mettere addirittura in crisi le grandi impalcature ideologiche del ventesimo secolo e a dare dignità a categorie solitamente ignorate dalla storiografia ufficiale, che tende a identificare la creazione dello Stato come il momento centrale e fondamentale per il progresso della civiltà, quando «Scott – scrive Boni – ci racconta anche la visione e le attività di quelli che hanno lottato contro lo stato, sia dal suo interno, elaborando forme di resistenza spesso invisibili, sia al suo esterno, organizzandosi per neutralizzarne l'espansione».

I saggi che compongono questo voluminoso Lo sguardo dello stato, che ha subito anche emendamenti del curatore in accordo con l'autore, attraversano aree geografiche differenti e distanti tra loro, come tutta l'opera di Scott, e vivono di una grande sinergia tra campi di studi diversi che coinvolgono l'antropologia ovviamente, ma anche le scienze politiche e la sociologia, materie piegate alla soddisfazione di domande urgenti senza mai cadere in un abuso teorico infruttuoso. Si tratta di un'indagine sulle modalità con cui lo Stato guarda alla società per poter controllare ogni cosa: ma questa forza organizzatrice dello stato, che si condensa nella creazione di mappe, nella decisione dell'utilizzo di cognomi fissi, negli elenchi catastali o nell'adozione di precise unità di misura, è stata ovviamente portatrice di uno sconvolgimento delle pratiche vernacolari e antiche, quelle fondate sull'esperienza (ciò che Scott definisce metis) e radicate nella popolazione. Si assiste dunque a uno scontro tra la semplificazione tentata dallo Stato, unica via per poter comprendere e controllare tutto, aspetto che Scott mette felicemente in comunicazione con le riduzioni cartografiche che «non raffiguravano punto per punto l'attività reale della società che illustravano: ne rappresentavano soltanto la fetta che interessava all'osservatore ufficiale», e la complessità radicata nell'organizzazione vernacolare e dei piccoli gruppi. Scott si chiede come «erano riusciti gli Stati ad assumere gradatamente il controllo dei propri sudditi e dei loro ambienti», e questo libro è un nuovo tentativo, organico e complesso, di dare una spiegazione a questo interrogativo anche perché così la standardizzazione di pesi e misure, l'uniformazione della lingua, la pianificazione urbana e l'organizzazione delle reti assumono un nuovo e decisivo significato capace di spiegare anche gli «episodi più tragici di questa ingegneria sociale messa in atto dallo Stato».

 Recensione completa su Alfabeta2

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Conosci l'autore

James C. Scott

James C. Scott insegna Scienze politiche alla Yale University, dove è codirettore dell'Agrarian Studies Program. Tra i suoi libri ricordiamo Seeing Like a State. How Certain Schemes to Improve the Human Condition Have Failed (1998), The Art of Not Being Governed. An Anarchist History of Upland Southeast Asia (2009) e, tradotti in italiano, Il dominio e l'arte della resistenza. I «verbali segreti» dietro la storia ufficiale (Elèuthera, 2006) ed Elogio dell'anarchismo. Saggi sulla disobbedienza, l'insubordinazione e l'autonomia (Elèuthera, 2014). Per Einaudi ha pubblicato Le origini della civiltà. Una controstoria (2018).

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