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“Quando ti fanno così male, è possibile guarire?” Questa la domanda che il personaggio principale si pone in una delle scene più drammatiche, ed è in qualche modo il tema centrale del film. Il protagonista (un grandissimo Kevin Spacey, che vorremmo rivedere presto) è un perdente nato, vittima predestinata di un fato impietoso, imbranato, inetto, privo di spina dorsale e incapace di ribellarsi a soprusi e sfruttamento. Il film è la storia di una rinascita, simboleggiata anche dal presunto annegato che inaspettatamente “risorge” durante la veglia funebre, e di una rivincita morale, non solo del protagonista ma anche dei vari personaggi che gli gravitano attorno, ognuno con un passato a dir poco doloroso da dimenticare. Rimasto solo dopo la morte della moglie, che prima di morire lo aveva abbandonato per un altro uomo, cercando di vendere la loro bambina per un pugno di dollari, decide di lasciarsi tutto alle spalle e trasferirsi al nord, nei luoghi di origine della propria famiglia. Qui conosce una donna abbandonata dal marito, con un figlio disabile: entrambi hanno la loro buona dose di insicurezze e di paure, che gli impedisce di riprovare ad amare. Ma lentamente, insieme, impareranno che il passato si può dimenticare e superare, e che se una violenta tempesta spazza via una vecchia casa, quel che resta non è desolazione, ma un panorama mozzafiato. Da segnalare Cate Blanchett che si allontana con maestria dalla consueta recitazione diafana e sommessa, per sorprenderci piacevolmente nel ruolo di una moglie e madre assolutamente orrenda. Da vedere (o rivedere) assolutamente, dopo aver messo a letto i bambini.
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