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Finalista del Premio Lattes Grinzane 2019.Finalista International Dublin Literary Award 2018.
Longlist Baileys Women’s prize for fiction 2017.
«Un racconto godibilissimo, pieno di ironia e privo di sentimentalismi.» - Ilaria Zaffino, Robinson - la Repubblica
Hortensia è nera e scontrosa, Marion bianca e snob. Da quasi vent’anni vivono una accanto all’altra a Katterijn, un’enclave di una quarantina di case in un sobborgo di Città del Capo. Vent’anni di ostilità e disprezzo reciproco, di futili litigi, di «commenti maligni». Ad accomunarle è il successo ottenuto sul lavoro, in un’epoca in cui le donne in carriera erano rare: se Marion è riuscita ad aprire uno studio di architettura con più di trenta impiegati, Hortensia ha fondato un’azienda tessile diventando una «guru del design». Ormai ottantenni e fresche di vedovanza, le due «vecchiette» continuano a detestarsi apertamente finché un evento inaspettato non le costringe a una convivenza forzata. Così, tra i timidi tentativi di Marion di creare una complicità «alla Thelma & Louise» e la burbera ritrosia di Hortensia, i battibecchi quotidiani si addolciscono e i rancori si trasformano lentamente nel terreno comune tra due donne capaci di farsi strada, in modi opposti, negli anni difficili dell’apartheid. Con sguardo lieve e senza mai perdere l’ironia, Yewande Omotoso dà vita a un racconto sull’emancipazione femminile, sull’impatto del colonialismo nella società sudafricana e, soprattutto, su una materia spesso elusiva: l’amicizia.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
La storia di un'amicizia strampalata, ma soprattutto il pretesto per scavare a fondo di due vite solo apparentemente tanto diverse e che in questo romanzo appaiono nella loro sorprendente complementarietà. Due ritratti perfetti, che spogliano e smascherano le due protagoniste fino a svelarne tutta la loro splendida complessità.
Due donne ormai anziane, sono entrambe rimaste vedove, ma questo non gli impedisce di continuare a disprezzarsi, fino a quando un evento improvviso le costringe a convivere. Inizialmente si ignorano, si insultano, pur vivendo sotto lo stesso tetto. Col tempo e pian piano cominciano a lasciare da parte i rancori riuscendo a instaurare una strana amicizia: la donna nera, arrabbiata e aggressiva, e la donna bianca razzista e ipocrita. Un romanzo che con il suo stile leggero, ma allo stesso tempo incisivo e malinconico, mi ha catturato fin dalle prime pagine.
La storia di 2 amiche nemiche che si sostengono e bisticciano x gran parte della loro vita, sostenendosi nel momento del bisogno e sfidandosi quando la vita le mette alla prova. Un romanzo sincero, finalmente politicamente scorretto, ma terribilmemte vero. Bello.
Recensioni
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La signora della porta accanto di Yewande Omotoso è la storia di due ottantenni, Hortensia e Marion.
Hortensia è una designer originaria di Barbados, di colore, rimasta vedova, senza figli, molto scontrosa.
Marion è una architetto di origine lituana, madre di quattro figli, snob ed “educatamente razzista”.
Due donne all’avanguardia e di successo, antesignane, proiettate in avanti e allo stesso tempo incredibilmente zavorrate da se stesse e dai propri errori.
Le due donne, dispotiche e con qualche pregiudizio di troppo, si ritrovano ad abitare vicine (una al civico 10, l’altra al 12) a Katterijn, un quartiere residenziale di Città del Capo, e spendono anni a detestarsi.
Le riunioni del comitato di quartiere sono caratterizzate dai loro dispetti e dai loro accesi diverbi.
Il marito di Marion le lascia debiti in eredità, il marito di Hortensia ben altro, con cui fare i conti.
Ma un incidente le porta a convivere per un certo periodo di tempo, tra quattro mura, costringendole a fare di necessità virtù e ad aiutarsi. Ad ascoltarsi. Ed a riconoscersi più simili di quanto potessero immaginare.
È una storia complessa e allo stesso tempo semplice. È la storia di due donne forti, arroccate, che hanno abdicato alla vita e che trovano nell’odio prima e nell’amicizia poi, una ragione di vita. Entrambe portano dentro amarezze e fallimenti che la frequentazione forzata tra quattro mura le porta ad ammettere con se stesse e reciprocamente, avvicinandosi.
È un caleidoscopio di sentimenti, quello mostrato in questo romanzo, delicato e forte.
Impariamo a conoscere queste due donne, i loro percorsi, le loro vite, i loro sogni, le loro sconfitte. La storia iniziale viene via via arricchita di tanti particolari, con salti temporali nel passato di ciascuna, si aprono tanti rivoli che spesso si torna alle prime pagine per ricordarsi chi è chi: chi è bianca, e chi è nera, chi ha figli e chi no. Le due donne nell’avanzare del racconto finiscono infatti sempre più per assomigliarsi. È come se l’antagonismo iniziale fosse alimentato dagli antagonismi singoli delle protagoniste con se stesse e che, una volta smorzati questi, l’inimicizia si ritrovasse senza linfa vitale e quindi libera di trasformarsi in amicizia.
Questa è una storia sull’invecchiare e fare pace con i fantasmi del passato, sull’amicizia, sui compromessi, sull’orgoglio e le sue conseguenze, sulla forza e la debolezza delle donne. Le stesse da secoli.
Potrebbe essere ambientato, che ne so, a Caronno Pertusella: forse risulterebbe meno poetico, ma continuerebbe a trattare di temi universali e mai come oggi attuali, con estrema delicatezza e leggera ironia.
Questo libro è per chi sta facendo un bilancio, per chi ha convinzioni granitiche, per chi pensa di non essere più in tempo, per chi ha un’armatura appesa nell’armadio.
Recensione di Patrizia Carrozza
Yewande Omotoso, scrittrice originaria delle Barbados e trasferitasi in Sudafrica con la famiglia appena finita l’Apartheid, è riuscita a creare un piccolo gioiello. Un romanzo ironico, dove le vicende personali delle protagoniste si intrecciano con il buio capitolo della storia Sudafricana, che emerge dalle trame della vita delle due anziane signore.
Hortensia e Marion sono come cane e gatto. Sono vicine di casa da vent’anni a Katterin, un altolocato sobborgo di Città del Capo - abitato solo da bianchi, fatta eccezione per Hortensia - e non si sopportano. Tra loro scorre un odio sincero e colgono ogni occasione per ferirsi e umiliarsi a vicenda. Hortensia è nera, sposata con un inglese. È una donna burbera e astiosa, con un’ironia caustica, che la rende una persona sgradevole. Ha vissuto in Inghilterra, per poi trasferirsi con il marito in Nigeria, e infine a Città del Capo. Marion è bianca, di origini ebraiche, anche se i genitori hanno fatto di tutto per cancellare ogni traccia delle loro radici. Ha vissuto l’Apartheid dalla parte privilegiata dei bianchi. È una donna snob e razzista, di quel razzismo subdolo e falso, che non mostra apertamente, ma che emerge con chiarezza dal suo atteggiamento. L’unica cosa che le accomuna è il fatto di aver entrambe fatto carriera, in un’epoca in cui non era scontato per una donna avere una vita lavorativa di successo. Hortensia è stata una celebre designer, Marion ha aperto con un socio un rinomato studio di architettura.
Ormai anziane, sono entrambe rimaste vedove, ma questo non gli impedisce di continuare a disprezzarsi, fino a quando un evento improvviso le costringe a convivere. Le due donne, che inizialmente continuano a ignorarsi e a insultarsi pur vivendo sotto lo stesso tetto, pian piano cominciano a lasciare da parte i rancori e riescono a instaurare una strana amicizia: la donna nera, arrabbiata e aggressiva, e la donna bianca razzista e ipocrita.
Gradualmente, iniziano a emergere le storie personali delle due anziane signore, le ferite che le hanno portate a essere come sono. Hortensia ha dovuto combattere sin da bambina con il colore della sua pelle e farsi strada in un mondo ostile; ha avuto un matrimonio infelice, ha dovuto sopportare un tradimento dall’uomo che amava, ma soprattutto non ha potuto avere figli. I colpi che ha ricevuto dalla vita le hanno fatto covare odio e risentimento verso il mondo intero. Marion ha avuto un’infanzia infelice, con una madre algida e severa, che l’ha soffocata con regole e limitazioni esagerate. In un certo senso è figlia dell’Apartheid, di un modo pensare che l’ha condizionata sin da bambina, che ha fatto parte della sua educazione, a cui non ha avuto la forza di opporsi. Ha avuto quattro figli ma non è stata una buona madre, e questo è uno dei suoi più grandi crucci.
Marion e Hortensia, apparentemente agli antipodi, si rivelano più simili di quello che si possa pensare: sono donne che nella vita si sono emancipate, ma a caro prezzo. La vita non gli ha risparmiato nulla e ora che sono anziane e stanche rivangano il passato, fanno i conti con il bilancio delle loro vite.
Yewande Omotoso con La signora della porta accanto è riuscita in modo magistrale a dar vita a un racconto in cui l’emancipazione femminile, le traversie della vita e l’impatto dell’apartheid e del colonialismo sulla società sudafricana si armonizzano alla perfezione in un romanzo dallo stile fresco, lieve e graffiante, ma allo stesso tempo amaro e malinconico.
Recensione di Flavia Scotti
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