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I signori del cibo. Viaggio nell'industria alimentare che sta distruggendo il pianeta
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I signori del cibo. Viaggio nell'industria alimentare che sta distruggendo il pianeta - Stefano Liberti - copertina
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signori del cibo. Viaggio nell'industria alimentare che sta distruggendo il pianeta

Descrizione



«I grandi conflitti geostrategici e geoeconomici, nell'inchiesta di Liberti, hanno un riflesso speculare in quello che accade sugli scaffali dei nostri supermercati, sulle nostre tavole, e alla fine sulle nostre arterie, colesterolo, esposizione a tumori e altre malattie degenerative.»Federico Rampini, il Venerdì di Repubblica

Secondo previsioni dell'Onu, nel 2050 saremo 9 miliardi di persone sulla Terra. Come ci sfameremo, se le risorse sono sempre più scarse e gli abitanti di paesi iperpopolati come la Cina stanno repentinamente cambiando abitudini alimentari? La finanza globale, insieme alle multinazionali del cibo, ha fiutato l'affare: l'overpopulation business. Dopo "A sud di Lampedusa" e "Landgrabbing", Stefano Liberti ci presenta un reportage importante che segue la filiera di quattro prodotti alimentari - la carne di maiale, la soia, il tonno in scatola e il pomodoro concentrato - per osservare cosa accade in un settore divorato dall'aggressività della finanza che ha deciso di trasformare il pianeta in un gigantesco pasto. Un'indagine globale durata due anni, dall'Amazzonia brasiliana dove le sconfinate monocolture di soia stanno distruggendo la più grande fabbrica di biodiversità della Terra ai mega-pescherecci che setacciano e saccheggiano gli oceani per garantire scatolette di tonno sempre più economiche, dagli allevamenti industriali di suini negli Stati Uniti a un futuristico mattatoio cinese, fino alle campagne della Puglia, dove i lavoratori ghanesi raccolgono i pomodori che prima coltivavano nelle loro terre in Africa. Un'inchiesta che fa luce sui giochi di potere che regolano il mercato del cibo, dominato da pochi colossali attori sempre più intenzionati a controllare ciò che mangiamo e a macinare profitti monumentali.
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Dettagli

2016
22 settembre 2016
327 p., Brossura
9788875217440

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Alf
Recensioni: 5/5

Libro molto interessante, scorrevole, che tocca un argomento scottante. Sebbene esso sia molto complesso dato che ruota intorno a economia e finanza, questo libro stimola il lettore a portare avanti la lettura e solo a tratti risulta essere impegnativo. Fortemente consigliato a coloro che sono interessati alla tematica e desiderano approfondirla; un buon testo che tutti dovrebbero leggere per acquisire maggior consapevolezza di ciò che mettiamo nel carrello ogni volta che si acquistano prodotti alimentari e decidere se favorire le avidissime multinazionali che dominano il settore agroalimentare o preferire cibi più sostenibili.

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Nicola
Recensioni: 5/5

Da "insider" ritengo il libro di Liberti uno dei migliori sull'argomento da un punto di vista divulgativo. L'intreccio Politica-Agricoltura-Società è spiegato benissimo, come un professore chiarisce tutti gli snodi e rende piacevole la lettura con il racconto della sua inchiesta. Per la prima volta, tra tutte le mie letture sull'argomento, ho trovato un giornalista che chiarisce la vera parte "malata" del settore: il commercio, perchè è l'approccio con cui le grandi aziende si pongono perde di vista la natura dell'agricoltore per abbracciare quello del mercante. In seguito ho letto "land grabbing" dello stesso autore, credo siano due letture collegate e "da fare" in sequenza.

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Che cos’è una locusta? È un insetto salterino presente un po’ ovunque nel mondo e sempre dannoso per le agricolture. Ma che cos’è un’azienda-locusta? E’ una multinazionale foriera anch’essa di disastri alimentari, interessata al profitto subito, e immemore di un futuro possibile. (…) Liberti ci parla di quattro ingredienti tra i più comuni dell’offerta alimentare globalizzata, carne di maiale, soia, tonno e pomodoro. È un viaggio che parte dai 700 milioni di maiali macellati ogni anno in Cina (…), la metà dei maiali del mondo. Ma dalla Cina, le locuste saltano in Brasile per la raccolta di quella soia che ingrasserà i maiali cinesi: 7 milioni di ettari di monocultura (…). È così che questo esercito di maiali ha rotto gli equilibri sociali e ambientali di intere regioni del sud del mondo. E il salto delle locuste è sostenuto dalle cavallette della finanza globale (…) Tuttavia, non è solo il grande capitale finanziario a soccorrere il salto delle locuste, ma anche il nostro piccolo carrello della spesa, che riempiamo di braciole in offerta e scatolette di tonno 3x2. (…). Siamo anche noi gli artefici della catastrofe ecologica e culturale presente. La responsabilità sociale e ambientale non riguarda soltanto chi produce, ma anche chi consuma. Leggendo questo libro ci rendiamo conto di come (…) i modi odierni del nostro consumo alimentare abbiano effetti irreversibili sulla fauna ittica degli oceani, e di quanto ne siano devastanti gli esiti sulle foreste africane e amazzoniche (…). Scopriamo che i salti del grande capitale finanziario sono spesso agevolati dai governi. Così la concentrazione a favore di poche imprese della produzione e distribuzione della carne di maiale in Cina è frutto di provvedimenti normativi, tesi a favorire l’aumento del consumo interno e dell’esportazione; l’attacco alla biodiversità dell’Amazzonia è facilitato dall’assenza di misure di legge contro la deforestazione e l’espansione della monocoltura della soia; l’irreversibile impoverimento dell’ecosistema marino del Senegal è accelerato dalle politiche degli stati asiatici ma soprattutto dell’Unione europea (…). E infine i pomodori: alla scoperta delle fonti del ketchup, Liberti ci porta dagli Uiguri, un popolo di lingua turca che vive in Xinjang, una regione a cui si devono i due terzi della produzione del maggiore esportatore mondiale di pomodori, la Cina. E dallo Xinjiang ci riporta nella patria del San Marzano, perché è proprio al porto di Salerno che arrivano i sino-pomodori ad uso degli imprenditori del San Marzano dop (!). Ed è seguendo uno di questi imprenditori che ci ritroviamo in un mercato di Accra, nel Ghana, dove il pomodoro uiguro è infine venduto e consumato come salsa “made in Italy”. E dal Ghana torniamo accompagnando gli ex-contadini e pescatori dell’Africa Occidentale, nel loro viaggio attraverso il Sahara per finire nei ghetti dei raccoglitori schiavi delle campagne foggiane. Qui si chiude il cerchio: è proprio il contadino ghanese a raccogliere quel pomodoro che sarà esportato nel suo paese azzerandone la produzione agricola locale e costringendo i suoi fratelli a raggiungerlo nel ghetto pugliese.

Recensione di Giuseppe Mastruzzo

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