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“Intuii che quella esperienza doveva diventare in un certo senso radicale, per essere veramente fatta mia e compresa. Decisi così quell’inverno che non avrei più indossato alcuna calzatura in casa, né all’interno né all’esterno” (p. 19)
Ciò che Andrea Bianchi racconta nel suo saggio Il silenzio dei Passi è un percorso mentale e fisico, nato quasi per gioco, con uno scopo ben preciso: dare risposte a quel desiderio di curiosità nel capire cosa si prova a camminare scalzi. Il contatto diretto con il terreno, la sensazione di caldo e freddo, di morbido o duro, di liscio o ruvido; c’è una volontà di fondo dell’autore di riavvicinarsi alla natura in una società sempre più tecnologica e frenetica, facendo un passo verso il passato (quasi regredendo), per riscoprire sensazioni ormai andate perdute nei secoli.
“Come regola d’oro non parto mai per una camminata a piedi nudi senza portare con me le scarpe: anche se per tutto il tempo non le indosserò, so di poterlo fare nel caso di un qualsiasi problema o infortunio, o anche semplicemente nel caso di stanchezza o di raggiunto limite di sopportazione, se il terreno dovesse rivelarsi particolarmente ostico” (p. 31)
Il camminare scalzi può sembrare una decisione da pazzi, o da estremisti, poiché nel nostro vissuto è qualcosa che viene associato allo stato di povertà e mi sono avvicinato a questo libro con l’idea iniziale (e sbagliata) di leggere di qualcuno che inizia un percorso quasi come una moda vegana, che però ogni tanto qualche strappo alla regola se lo concede. Invece è stato piacevole leggere di qualcuno che semplicemente sceglie di provare a fare un gesto tanto semplice, quanto fuori da ogni nostra logica e vedere come pian piano il tutto diventa naturale, pur mantenendo in un certo senso la propria integrità mentale e razionale.
“Certamente, per quanto detto finora, è chiaro che essere a piedi nudi sia tutta un’altra esperienza – sensoriale, fisiologica, psicologica e mentale – ma prendere le scale della metropolitana non è la stessa cosa che percorrere a piedi nudi un sentiero di montagna” (p. 85)
Recensione di Marco Cattaneo.
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