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Oltre trent’anni fa, Victor Brudney, uno dei più autorevoli studiosi statunitensi, osservava che nessuna definizione di indipendenza può impedire che il controllore «intrattenga rapporti di amicizia con le persone sulla cui attività è chiamato a vigilare, o che appartenga allo stesso club, associazione o ente benefico»1 . Analoghe constatazioni condizionano ancora oggi il dibattito sull’indipendenza dei preposti a funzioni di controllo e spiegano perché l’argomento sia certamente tra quelli che più hanno dato luogo a controversie interpretative. Un’attenzione tanto significativa è imputabile, principalmente, alla difficoltà di coniare una “generale” nozione di indipendenza, nonché alla sfiducia, da più parti manifestata, sulla possibilità di addivenire ad una soddisfacente regolazione della materia, rimarcando che questo requisito attiene al profilo etico del controllo e che si sostanzia, in definitiva, in uno status mentale e, ancor prima, in una qualità morale dell’individuo.
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