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Anno edizione: 2009
Chi era lo smemorato di Collegno? Mario Bruneri, torinese, nato nel 1886, ex tipografo, latitante dal 1922, inseguito da tre ordini di cattura, con moglie, un figlio e un'amante chiamata Milly? O Giulio Canella, veronese, nato nel 1882, professore emerito di filosofia, uomo austero, cattolico, appartenente a una famiglia facoltosa e influente e disperso in guerra sul fronte macedone nel 1916? Lo smemorato scelse Canella e la moglie del professore lo riconobbe. I magistrati, dopo un lungo e travagliato processo, giunsero alla conclusione che lo smemorato era e restava solo il tipografo truffatore.
In realtà, fin dall'inizio la vicenda era sembrata in qualche modo "pirandelliana". Quando, nel febbraio 1930, andò in scena a Milano Come tu mi vuoi, con Marta Abba nella parte dell'Ignota, spettatori e critici colsero subito l'analogia tra l'affare e il nuovo dramma di Pirandello. Del resto una vistosa traccia dello "smemorato" era già apparsa nel luglio 1927, quando a Napoli, al Teatro dei Fiorentini, aveva debuttato con grande successo uno spettacolo della compagnia Galdieri - De Filippo, diretta dal giovane Eduardo. Alcuni decenni dopo, Lo smemorato di Collegno sarebbe diventato il titolo di un celebre film di Corbucci, con Totò nella parte di Bruneri-Canella.
L'istantanea fortuna letteraria, teatrale e cinematografica può forse spiegare il ritardo con cui la storiografia ha affrontato un episodio così importante, nella storia della cultura italiana, come quello dello "smemorato". Il primo merito del libro di Lisa Roscioni è dunque di carattere storiografico e metodologico. Forte di uno stile narrativo avvincente, l'autrice è riuscita infatti a mantenere il fascino e l'ambiguità del "caso" pur senza rinunciare a una precisa e approfondita documentazione archivistica. Non pochi sono i documenti originali e inediti che costituiscono, insieme alle cronache giornalistiche, l'intelaiatura del saggio: innanzitutto la cartella clinica del "ricoverato n. 44170", conservata presso l'Archivio storico del manicomio di Collegno, ma anche il fondo della Direzione generale di Pubblica sicurezza, divisione Polizia politica, dell'Archivio centrale dello Stato, e in particolare un dossier contenente decine di informative dei fiduciari della polizia politica che raccolsero negli ambienti più disparati dal Vaticano ai corridoi dei tribunali, dalle osterie alle redazioni dei giornali voci, dicerie e commenti circolanti sull'affare.
Non stupisce, dunque, che dalla ricostruzione di Roscioni emerga chiaramente un'interpretazione della vicenda dello "smemorato" ben più complessa e sfumata di quella fornita, più di vent'anni fa, da Leonardo Sciascia. Nel suo Il teatro della memoria (Einaudi, 1981, riedito nel 2004 da Adelphi), lo scrittore siciliano suggerì come una questione apparentemente innocua dal punto di vista politico, quale quella di Collegno, potesse essere utile al regime fascista per "distrarre" l'opinione pubblica italiana dalla violenta operazione di liquidazione di ogni opposizione e di consolidamento della dittatura in atto in quel momento. In realtà, il caso Bruneri-Canella fu tutt'altro che inoffensivo dal punto di vista politico. Uno dei personaggi più in vista del fascismo, Roberto Farinacci, ben noto per il suo anticlericalismo, fu infatti chiamato dalla famiglia Canella a difendere lo smemorato. Inoltre, nell'affare erano coinvolte due personalità di primo piano del mondo cattolico italiano, padre Agostino Gemelli e Giuseppe Dalla Torre, direttore dell'"Osservatore Romano". Antichi amici entrambi del professor Canella, non lo avevano però riconosciuto nello smemorato e, secondo alcune dicerie cospirazioniste, manovravano, a difesa di pretesi interessi economici, intorno a non ben identificate congregazioni religiose. In quest'ottica, il caso dello "smemorato" diviene pertanto un tassello importante dello scontro tra chiesa e regime fascista. Sono questi gli anni del contrasto fra organizzazioni giovanili cattoliche e movimenti giovanili fascisti, che culmineranno, di lì a poco, il 30 maggio 1931, nello scioglimento forzato dell'Azione cattolica. E Dalla Torre, bersaglio dei "canelliani", prenderà esplicitamente posizione in difesa dell'autonomia e del diritto all'esistenza dell'Azione cattolica. L'intervento del segretario di stato cardinale Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, per imporre a Gemelli e Dalla Torre un silenzio "diplomatico" sull'affare dello smemorato, basta a dimostrare come a Collegno si stesse giocando una partita politicamente scottante.
Ma non sono soltanto i "retroscena vaticaneschi" a disegnare la portata nazionale del caso Bruneri-Canella. Al momento della chiusura dell'iter giudiziario, nel 1931, il regime fascista e la stampa cattolica si trovarono infatti nuovamente fianco a fianco. E la ragione è facilmente intuibile: la Cassazione aveva ormai emesso il suo verdetto e tutto quel parlare di una coppia irregolare con figli dall'incerto stato civile non poteva che nuocere al modello familiare e sessuale che il regime voleva propagandare. La questione morale, che aveva provocato all'inizio della storia la reazione della stampa cattolica, era ormai per il fascismo all'ordine del giorno, all'interno di una più generale strategia di controllo sociale e di ricerca del consenso. Ed è proprio in questo momento, infatti, che l'Ufficio stampa del governo, e cioè il principale organo di censura, fa circolare la prima velina sul caso di Collegno: "È stato raccomandato ai giornali di smettere di occuparsi di Bruneri", recita secco l'ordine.
Vi è del resto, nella conclusione del caso Bruneri-Canella, una terza dimensione che ne rivela la profonda connessione con la cultura e l'immaginario fascisti. Per iniziare una nuova esistenza afferma Roscioni lo smemorato aveva scelto un "involucro" particolarmente tradizionale. Padre di famiglia, fervente cattolico ed eroe della Grande guerra: così veniva rappresentato sui giornali Giulio Canella e così lo smemorato voleva essere. In tal senso il suo gesto era in sintonia con le profonde e contraddittorie trasformazioni sociali in atto: da un parte, tentava audacemente la scalata sociale, come molti della sua generazione avevano fatto e facevano anche attraverso il fascismo; dall'altra, però, era al modello familiare e sociale più tradizionale che si aggrappava, quello stesso modello a cui il fascismo puntava per costruire il consenso e soffocare le tensioni sociali acuite dalla grave crisi economica. Tuttavia, per essere vincente, il tentativo dello smemorato doveva essere necessariamente "moderno", ovvero aveva bisogno dell'approvazione pubblica e dell'attenzione continua dei giornali. Lo smemorato chiedeva di essere pubblicamente riconosciuto per poter esistere, rivendicando, all'interno di una cornice di valori tradizionale, un "io spirituale" assoluto e autentico, superiore all'"io materiale".
È dunque in questa sorta di "modernismo reazionario" che il caso Bruneri-Canella affonda profondamente le sue radici nell'ideologia e nella cultura del fascismo. E sarà questo continuo oscillare fra tradizione e modernità a garantirne la sopravvivenza nel secondo dopoguerra. Soltanto allora, paradossalmente, lo smemorato raggiungerà il suo obiettivo: quello di apparire periodicamente su quotidiani e settimanali, come l'eroe di un feuilleton che continuamente rinasce nell'immaginazione di chi narra la sua epopea.
Francesco Cassata
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