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Il tema è incandescente e misterioso: il vuoto di un figlio che non ha mai trovato il proprio posto nel mondo. Elena Varvello è maestra nell'indagare quel bosco fitto e scuro che è l'adolescenza, e quel terreno scosceso che sono i sensi di colpa dei genitori.
«Aveva l'impressione che il mondo intero avesse trattenuto il fiato per vent'anni, e che solo quella notte avesse ripreso a respirare».
Tutta la verità. Ma obliqua. Intraducibile Emily Dickinson, se non con nuove figure, nuove immagini, una nuova storia. È quello che fa Elena Varvello con Solo un ragazzo, che a sua volta è la risposta semplice e assoluta a una domanda che urge per tutto il libro: «Che cosa sei?» È ciò che chiedono i padri e che soffrono le madri di fronte all’enigma dell’adolescenza. Un’età che fugge e sfugge, un’età malvagia e innocente, che conserva e spreca: l’età della contaminazione. C’è un ragazzo, solo un ragazzo, al centro di questo libro, che rifiuta e rifiuta e basta. Commette infrazioni via via piú importanti che travolgono senza possibilità di scampo chi gli sta intorno e tenta una vita accettabile, nella normalità: la madre, il padre, le sorelle fra loro cosí diverse, e i suoi possibili, incerti avatar. Il ragazzo è dappertutto e quindi in nessun luogo, è «un’ombra, un dubbio, una storia che passa di bocca in bocca». È una specie di ready-made della vita, una cosa comune, quasi banale, che però modifica con la sua sola presenza tutta la realtà che gli gira intorno. Costruisce un rifugio nel bosco con i rifiuti del mondo accettato, ruba, sí, ma cose da nulla, minaccia, e forse uccide, di certo ne muore. In lui la vita batte oltre il ritmo normale. In lui la vita comanda. Non ha bisogno di una logica di cause ed effetti. Appare e si dà. E noi lettori, come i personaggi di questa storia, siamo dei bricoleur dell’impossibile: ci arrabbiamo, ci impegniamo, amiamo, perdoniamo, piangiamo senza però troppo influire sulla forza di gravità esistenziale che ci muove e che muove tutto il libro di Elena Varvello. È una forza che ci attrae dentro ogni pagina, che ci fa diventare volta per volta tutti i personaggi, che ce li fa capire, che ce li fa raddoppiare dentro la nostra sensibilità. Per incantesimo.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Non so ancora bene cosa dire di questo romanzo. Terminata la lettura ho pensato che non mi fosse piaciuto, non mi ero sentita coinvolta, emozionata o toccata dalle parole. ⠀ A quel punto mi sono sorti parecchi dubbi: ero io a non aver capito il romanzo? Sono stata io ad averlo letto velocemente senza assimilarne il significato? ⠀ Ci ho messo un po' ma forse ho capito cosa penso. Penso che questo sia un romanzo necessario, di quelli che raccontano le cose così come sono, complicate, ingarbugliate e senza una motivazione apparente. Un libro che ci fa entrare solo per poco nella mente e nella vita di chi subisce una tragedia. È un libro in cui i perché non trovano risposta, le domande restano tali ed il lettore che tenta di sbrogliare la matassa rimane deluso e contrariato. ⠀ E forse un libro in cui é meglio restare spettatore esterno. Un romanzo in cui non è importante capire ma sentire. ⠀ Sarò sincera: non è un libro che annovero tra i migliori letti, ma trovo sia un libro forte che può farci comprendere cosa non fare, cosa non dire, e soprattutto cosa non sottovalutare. Ci fa comprendere quanto sia importante la presenza, anche silenziosa, e quanto lo sia a volte anche l'assenza. ⠀ Se c'è una cosa che ho imparato è che non bisogna mai sminuire, sia nel bene che nel male. ⠀ Mai dire o pensare: è solo un ragazzo.
Tutte le famiglie hanno un equilibrio interno, un magnetismo che mantiene ogni componente al proprio posto. Ma se questa è la la forza di una famiglia, spesso si rivela anche essere la sua fragilità, poiché se un membro si allontana da quest'ordine, esso può provocare conseguenze irrimediabili. Questo è ciò che avviene in "Solo un ragazzo" di Elena Varvello, la storia di un figlio e un fratello che si credeva di conoscere e che invece, all'improvviso, inizia a compiere piccoli crimini all'apparenza insensati; la storia di una famiglia che fatica a restare unita avendo perso un anello della catena; la storia di esseri umani che non sono più sicuri di niente, e possono soltanto tentare di capire, con un certo ritardo, chi fosse davvero quel ragazzo.
Un ritratto intimo ma graffiante sulla solitudine umana. E non è vero che il dolore rende migliori, quantomeno non subito. La sofferenza ci isola, ci rende più egoisti, persino cattivi. Soprattutto di fronte ad eventi inspiegabili. Perché quello che è successo in quell’estate del 1989 resta sospeso nel tempo, condiziona cose e persone anche a distanza di anni. Così è per Sara e suo marito Pietro, come per le loro figlie Amelia e Angela. Man mano conosciamo le loro voci, i loro rimorsi, i loro sensi di colpa. Quanto conoscevano quel figlio/fratello così apparentemente tranquillo? Perché non hanno mai capito la sua rabbia?
Recensioni
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