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Le sorti di Francesco Marcolino da Forlì intitolate giardino d’i pensieri vennero pubblicate a Venezia nel 1540 e, in una seconda edizione rivista, nel 1550. Poi, come tutti i testi divinatori, incapparono nei divieti dell’Index librorum prohibitorum.
L’autore fin lì era noto esclusivamente come editore e come connaisseur di ingegneria e meccanica, oltreché come “compare” di Pietro Aretino e intimo di Tiziano e Sansovino. Nella circostanza dell’esordio chiamò a collaborare personalità di rilievo dell’arte e della letteratura presenti a Venezia sul finire degli anni trenta (Lodovico Dolce per le 2.500 terzine contenenti gli altrettanti responsi; Giuseppe Porta e altri artisti rimasti anonimi per il frontespizio e le cento incisioni del corpus figurativo). Forte delle consuetudini di una tradizione millenaria, che ammetteva sia riprese dirette dei materiali della convenzione, sia semplici adattamenti di quei materiali con aggiornamenti di tempo e di luogo, sia invece interventi più radicali. Marcolini per la propria occasione sortesca si ritagliò una cifra particolare. Privilegiò le componenti figurative e quelle ludico-combinatorie. In questo senso la sua era un’opera, e anzi un’operazione culturale, profondamente innovativa e d’autore.
Il risultato, ora riproposto in edizione anastatica, fu un unicum di altissimo livello, originale nelle soluzioni proposte e sorprendente nella cifra complessiva. E in grazia di ciò destinato a essere inteso oltre che come prodotto di una bottega e di un catalogo intimamente militanti, come espressione di quella civiltà del pieno Rinascimento che per aspetti non marginali era sul punto di essere inibita, di lì a pochissimi anni, dal gelo e dal buio dei pronunciamenti tridentini.
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