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recensione di Tomasi, D., L'Indice 1997, n. 6
L'analisi del film si è venuta a configurare, a partire dagli anni settanta, come uno degli ambiti privilegiati della riflessione sul cinema. Grazie alla diffusione del videoregistratore, pur con tutti i limiti insiti in tale strumento, il rapporto diretto col film in quanto testo è divenuto una possibilità concreta per tutti, e non solo per quella ristretta fascia di studiosi che poteva avere accesso, peraltro non sempre con facilità, alle cineteche e alle loro moviole. La riproduzione di un film su nastro magnetico ha reso l'oggetto film simile all'oggetto libro: qualcosa che possiamo tenere in tasca, portarci a casa, vedere e rivedere per passione o per studio, meglio se le due cose diventano una sola. Non solo, ma la stessa didattica del cinema si è radicalmente trasformata: come in una lezione di letteratura è possibile citare (e analizzare) un testo leggendone ad alta voce alcuni brani, così in una lezione di cinema è possibile citare (e analizzare) un film mostrandone alcune inquadrature o sequenze.
All'analisi del film, o meglio "dei" film, è dedicato questo significativo studio di Aumont e Marie, due fra i più brillanti teorici del cinema del contemporaneo panorama internazionale. Tradotto con eccessivo ritardo in Italia - si tratta ahimè di un'abitudine diffusa -, il libro è un'efficace ricostruzione della storia e dei modi di questo particolare discorso sul cinema, che dichiara con estrema correttezza come "non si troverà qui (né altrove) il metodo che miracolosamente permetta a chiunque di analizzare qualunque film". Non esiste dunque un modello d'analisi valido sempre, ma piuttosto tanti modelli di analisi "dei" film ognuno dei quali giustificato dalle proprie premesse, intenzioni e metodologie. Tuttavia è possibile mettere a fuoco almeno due elementi costitutivi del fenomeno, senza i quali sarebbe azzardato parlare di analisi. Il primo segno distintivo è l'aderenza al testo: il luogo attraverso cui si deve sempre passare e ritornare, il costante strumento di verifica di ogni nostra ipotesi per evitare i rischi dell'impressionismo critico o quelli della sovrinterpretazione. Essere aderenti al testo significa gettare su di esso uno sguardo descrittivo e analitico, particolarmente attento al funzionamento significante del film, nella consapevolezza che la forma del contenuto agisce come coefficiente di trasformazione semantico di quello stesso contenuto. Si tratta in sostanza di rimanere fedeli a quel principio esposto da Bazin per cui un bambino che muore in primo piano è tutt'altra cosa da un bambino che muore in campo lungo.
L'aderenza al testo non può tuttavia essere totale nel senso che non è possibile dire tutto di un film, il quale, come ogni testo artistico e forse più di altri, data la molteplicità dei codici in opera e delle sue materie d'espressione, è sostanzialmente un inesauribile insieme di significati e significanti. L'analisi sarà di conseguenza sempre parziale. Così, a partire da questa consapevolezza, essa dovrà orientarsi sulla base di una prospettiva di ricerca. Analizzare un film sarà innanzitutto porsi e porre certe domande anziché altre, chiedersi che cosa di quel film si vuole cercare e interrogare poi il testo a riguardo. Nessun film mi parla se non sono io a fargli delle domande.
Aderenza e prospettiva sono dunque i presupposti essenziali di ogni analisi che voglia effettivamente essere tale e che così possa giungere al suo scopo principale: offrirci delle nuove conoscenze del film, rivelarci di esso aspetti inediti, accrescere la sua intelligibilità.
L'analisi si associa poi strettamente all'interpretazione che da una parte è il motore inventivo dell'analisi stessa - ogni analisi nasce da un'ipotesi: "mi sembra che..." - e dall'altra il suo punto d'arrivo. Il problema sarà quello di riuscire a trovare una giusta mediazione fra due rischi opposti: quello del voler dire a tutti i costi qualcosa di nuovo col pericolo di deformare il testo, e quello del rimanere così attinenti ai fatti da finire col proporre nient'altro che una parafrasi del testo stesso. Bisogna avere il coraggio di interpretare e di sottoporre l'interpretazione al continuo gioco della verifica: l'analisi del film è fatta di metodo e rigore da una parte, e di creatività e fantasia dall'altra. Esiste anche, come giustamente fanno notare Aumont e Marie, il piacere dell'analisi.
Un merito oggettivo del libro è quello di ripercorrere la storia dell'analisi dei film attraverso diversi e autorevoli esempi che ne indicano la molteplicità degli approcci. A un primo livello l'analisi può cimentarsi nella costruzione di quello che propriamente si chiama il sistema testuale filmico, ovvero "un 'modello' della struttura di quel determinato enunciato filmico". Tale processo si intreccia poi a diversi possibili ambiti: l'approccio al film come racconto, segnato dai contributi di Propp, Barthes, Greimas e Genette; quello all'immagine, frequentemente in rapporto alla pittura e agli studi iconologici, e al suono, con particolare riferimento agli studi di Chion; quello psicoanalitico, solitamente attento alle relazioni tra film e spettatore; quello storico, disponibile ad aprirsi tanto al legame tra cinema e società quanto a quello tra film e storia del cinema.
Come emerge chiaramente da questo sommario elenco, l'analisi del film attraversa buona parte degli ambiti in cui si muove la stessa teoria del cinema. Il rapporto tra analisi e teoria è del resto strettissimo. Non è oggi quasi più pensabile fare l'una senza l'altra. La teoria deve verificarsi attraverso l'analisi e l'analisi deve proporre nuove teorie.
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