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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2019
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Uno dei romanzi fondamentali di Lobo Antunes, il culmine della sua traiettoria narrativa, dove l’autore racconta ai suoi lettori tutto l’orrore e la miseria generati dall’imperialismo e dal colonialismo.
«Stilisticamente complesso, con pochi riferimenti cronologici, questo romanzo del 2002 ripubblicato sa di decomposizione e rancore, proprio ciò da cui deve guarire Lisbona, per poter splendere davvero» - Sette
Tutto l'orrore e la miseria generati dal colonialismo e dal razzismo
Siamo a metà degli anni novanta e i tre figli ormai adulti di una famiglia di coloni portoghesi in Angola sono stati evacuati a Lisbona. La madre è rimasta lì nel tentativo di salvare la vecchia piantagione, mentre infuria la guerra civile, che coinvolge molteplici fazioni e potenze straniere incluse Cuba, l'Unione Sovietica e il Sudafrica. È la guerra per l'indipendenza che si disintegra in violenza caotica, terrore e macelleria casuale. I tre figli sono il prodotto del sistema delle piantagioni dove gli africani servivano ancora come schiavi. Il più anziano, mulatto, è frutto di una relazione del padre con una prostituta africana e viene discriminato persino dalla sua stessa famiglia. La figlia è in pratica una prostituta d'alto bordo. E l'ultimo figlio, mentalmente disabile e rinchiuso in una clinica, infligge violenza sugli animali appena ne ha occasione. Attraverso i monologhi alternati dei quattro personaggi, questo romanzo traccia il tetro bilancio del processo storico di avvilimento di una categoria di esseri umani. I quattro narratori svelano le loro vite passate, lacerati tra la nostalgia per l'Africa della loro infanzia e la vergogna di ammettere che quel sogno era solo un orribile incubo.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Mail inviata a Feltrinelli Edititore Sono anni che leggo Antonio Lobo Antunes, che ritengo fra i grandissimi scrittori contemporanei, anche se ingiustamente negletto, forse per l’impegno che i suoi libri richiedono al lettore. E infatti ho potuto apprezzare le sue opere in gran parte in francese, dato che l’editore Bourgois sta portando avanti la meritoria impresa di tradurre tutti i libri dello scrittore. Anche voi un tempo avevate iniziato a tradurre alcuni suoi titoli, poi andati esauriti. Sennonché negli ultimi due anni avete pubblicato Non è mezzanotte chi vuole (unico non tradotto da Bourgois) e ripubblicato quel capolavoro che è Lo splendore del Portogallo (già tradotto da Einaudi insieme a In culo al mondo - opera si potrebbe dire giovanile, dato che la struttura polifonica degli streams of consciousness non era stata ancora sviluppata, Le Navi, Il manuale degli inquisitori, ed Esortazione ai coccodrilli). Queste edizioni in italiano mi hanno indotto - spero fondatamente- a sperare che anche Feltrinelli intenda impegnarsi consentire ai lettori italiani di poter conoscere e apprezzare Lobo Antunes. In questi giorni di isolamento ho ritrovato il tempo per riprendere il confronto con questo autore partendo dagli ultimi suoi libri (Até que as pedras se tornem mais leves que a água ) che mi è sembrato all’altezza dei suoi migliori, e procedendo a ritroso. Concludo con un sentito e pressante invito a far sì che la mia speranza non vada delusa perché non se lo meritano ne’ Lobo Antunes ne’ il patrimonio letterario italiano
Ed. Feltrinelli 4 voci polifoniche/cacofoniche allo stesso tempo, stridenti tra i loro ricordi, netti, differenti e ossessivi tanto quanto lo stile di scrittura di Antunes, fanno da concerto vocale raccontando storia della “famiglia” e del colonialismo portoghese in Angola. 4 voci che non si incontrano nelle righe del romanzo ma lo creano attraverso la loro visione così differente, così disumana, così umana, così introspettiva. Dallo sfruttamento dei loro simili in africa e loro stessi così africani da generare un paradosso umano, etnico e temporale che non potrà che finire nel sangue, dolore e caos. Due mondi che si rispecchiano ma che non si conoscono, ognuno progettato socialmente per un ruolo ben definito. Le luci nel romanzo sono tutte ben posizionate sul dolore personale ma quello che davvero ti colpisce sono le ingiustizie che fanno da sfondo quasi sbiadito, quasi inconsistente e scontato, perché a volte quello che ti gela il sangue non sono i pianti di chi soffre ma i silenzi di chi non può parlare. Difficile e complesso da leggere come tutti i suoi romanzi, perché lo stile di Antunes è attorcigliato, ripetitivo, ossessivo, ridondante nei particolari e estremamente introspettivo, un flusso di coscienza continuo, questo come con “In culo al mondo” è legato alla sua denuncia del colonialismo che ha vissuto in prima persona. Consigliato eh sì! Ogni volta è stomaco che si rivolta e pensieri che negano
Un libro, che ho letto dopo averne visto la recensione sul supplemento di un diffuso quotidiano, molto deludente e parecchio strano, come dimostra questo passo: “Il mormorio del girasole mi sveglia” o quest’altro “scatole giapponesi dentro scatole giapponesi dentro scatole giapponesi”. Da quello che ne ho capito, è la storia dei tre figli di un piantatore dell’Angola morto alcoolizzato e cui eredi (la vanesia Clarisse, Carlos, figlio della negra Maria da Boa Morte, e Rui epilettico) sono stati cacciati dalla Rivoluzione dei garofani e dalla rivolta di quelli che un tempo erano trattati da schiavi. Questo sono riuscito a comprendere. Ed è stato tanto dato il tono del libro, giocato su più piani temporali intersecantisi, tanto da non comprendere se un’azione si svolga nel passato o nel presente. Ho resistito a leggerlo fino a metà e poi l’ho posato, definitivamente.
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