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Di Avoledo mi è piaciuto "Mare di Bering", ma questo, al pari e più de "L'Elenco Telefonico" mi ha profondamente deluso. Elementare, scontato nella scrittura e modesto nelle psicologie dei personaggi, prevedibile e pervaso di una retorica estremamente mediocre. Per me, Avoledo è un bluff. Un falso attacco contro un sistema politico-economico che andrebbe graffiato con artigli ben più accuminati di quelli del nostro...
Questo libro come gli altri di Avoledo dimostrano come si vanno affermando anche nella nostra gli stilemi della letteratura di consumo anglosassone. Scrittura fluida e accattivante, contesto sociopolitico ben riconoscibile, caratterizzazione dei personaggi senza un particolare approfondimento psicologico se non quello derivabile da una buona rubrica di "posta dei lettori". Il tutto al servizio di un prodotto sicuramente godibile e probabilmente intelligente. Non è un male, assolutamente, basta sapere ciò che si cerca nella lettura di un libro.
E' il terzo libro di Avoledo che leggo; il primo geniale, il secondo interessante, il terzo ... una cosa a metà. Sia per la divisione in due parti (magari non voluta, ma la diversa velocità è evidente), sia per un senso di incompiuto per come finisce. Troppi spunti interessanti non sviluppati. In ogni modo, godibile, concordo con altre citazioni di un parallelo con Vonnegut
Recensioni
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“La pubblicità suggestiva cerca di influenzare il cliente con un messaggio che vinca la sua resistenza all’acquisto. Ciò su cui si fa leva con questo genere di pubblicità non è il lato informativo, ma l’immagine del prodotto. Quindi cerca di stimolare l’inconscio del cliente.
E dove il bisogno non c’è, lo si crea”.
Dopo i successi de L’elenco telefonico di Atlandide e Mare di Bering Tullio Avoledo torna con un romanzo che, siamo sicuri, farà discutere: un libro di fantapolitica che ha davvero molte attinenze con l’incubo del reale, con i luoghi oscuri di un presente che, purtroppo, si fa sempre più chiaro.
Senza voler svelare nulla della trama – che in Avoledo costituisce gran parte del piacere di una lettura che diventa ad ogni pagina una scoperta – basti accennare che in questa metafiction l’autore fa confluire tematiche di un’attualità sconcertante: quello che delinea è l’altro volto di un Paese, l’Italia, da sempre strategica nell’asse degli equilibri poltici non solo europei.
Quella di Avoledo è metafiction proprio per questo: perché travalica i generi affiancando alla narrativa interessanti spunti sociologici e geopolitici.
E se di queste incursioni la lettura non ne risente, ne risente invece il lettore che in diverse pagine di questo avvincente romanzo si trova spiazzato davanti allo specchio di una finzione molto vicina alla realtà.
D’altro canto gli elementi ci sono tutti.
A partire dal titolo: Lo Stato dell’Unione è il discorso annuale che ogni presidente degli Stati Uniti rivolge alla nazione; ma è anche il titolo di un film, purtroppo dimenticato, di Frank Capra: un lungometraggio dove il regista de La vita è una cosa meravigliosa indaga sulle molte commistioni del Potere.
Ne Lo Stato dell’Unione, inoltre, sono molte le citazioni esplicite e non: dall’omaggio a Philip Dick all’ironia al vetriolo di Kurt Vonnegut sino alla satira sociale ritratta negli straordinari fumetti di Gerard Lauzier. Per non parlare di un capitolo molto interessante in cui Avoledo, pur non citandolo, riprende le teorie dell’americano Bill Kaysing che, nel suo Non siamo mai andati sulla Luna, insinua il sospetto di come lo storico sbarco lunare dell’ Apollo sia una delle più spettacolari
truffe mediatiche.
C’è questo nel nuovo Avoledo, ma c’è anche molto altro. Su tutti l’invasiva presenza nelle nostre vite di una pubblicità che non è nemmeno più creata da “persuasori occulti” alla Packard, ma si è trasformata nell’ultimo vero Quarto Potere.
E proprio attraverso il protagonista - un pubblicitario assoldato (è il caso di dirlo) da un partito politico dal nome programmatico ed evocativo, “Italia in marcia”- siamo catapultati in universo parallelo terribile se solo rimanesse di carta.
Le prospettive delineate da Avoledo, invece, sono più vicine al realizzarsi di quanto si possa immaginare.
Come scriveva Jack London nel suo Tallone di ferro, “il futuro è uno stivale che calpesta un volto umano, all’infinito”.
Il problema è che non se ne accorge nessuno. Lo stivale, sembra dirci Avoledo, è felpato, ma ugualmente letale. Oggi che si è passati, definitivamente, dalla strategia della tensione alla strategia della finzione.
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