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recensione di Mancia, M., L'Indice 1987, n. 1
La "Storia della Psicoanalisi" viene affrontata da Silvia Vegetti come storia delle idee e dei concetti che fondano la psicoanalisi. Essa viene infatti definita nel suo versante tecnico come un procedimento per curare la mente ma, nel suo versante epistemico, viene riconosciuta come metodo di conoscenza della mente. L'autrice si pone il problema se la psicoanalisi sia storicizzabile o meno in quanto fondata sul concetto di inconscio che per definizione è fuori del tempo. Ma poiché l'inconscio è essenzialmente legato ad una esperienza relazionale (e in questo senso la Vegetti si pone decisamente tra i postfreudiani) essa acquisisce una dimensione storica. Chiarito questo punto, viene affrontato il tema della nascita della psicoanalisi partendo dal "romanzo familiare" di Freud e inserendo la sua "malattia creativa" nel contesto scientifico neurologico e psichiatrico della Germania di fine Ottocento. Anna O. costituisce, come caso clinico, la linea di partenza da cui si muove un nuovo modo di concepire la mente: una psicoanalisi come nuova antropologia.
L'isteria e il linguaggio del sintomo sono i luoghi dell'incontro tra Freud e Breuer e dell'inizio di un sodalizio fondamentale, anche se ambiguo, che durerà pressapoco fino al 1896, epoca in cui si assisterà ad un passaggio dell'identificazione di Freud da Breuer, che rappresentava la sicurezza di un metodo scientifico di stampo positivista codificato, a Fliess che rappresentava un modo di pensare la mente certo più rischioso, ma promettente e avventuroso. E a Wilhelm Fliess che Freud scriverà la famosa lettera del 21 settembre 1897 in cui abbandonerà la teoria della seduzione per dare un nuovo spazio alla fantasia e al desiderio e per introdurre, nei labirinti della mente, la peste dell'Edipo e la teoria della rimozione.
Il vero momento in cui il pensare di Freud subisce una decisa virata è il "Progetto" del 1895. La storia e la vicenda di questo manoscritto abbandonato nella mani di Fliess e pubblicato postumo nel 1951 sono troppo note per essere discusse qui. Basta sottolineare, come fa Silvia Vegetti, che l'interesse del "Progetto" non e solo storico ma contiene in embrione i concetti fondanti della metapsicologia freudiana con un linguaggio metaforico che ritorna puntualmente nel VII capitolo della "Interpretazione dei sogni".
L'Edipo e la sua risoluzione introducono il tema della sessualità che viene per la prima volta affrontata con metodo scientifico. Un ampio spazio viene dato in questa "Storia della psicoanalisi" alla teoria della sessualità femminile elaborata da donne. Le vicissitudini dell'Edipo sono descritte seguendo il pensiero di H. Deutsch, K. Horney e M. Klein. Queste tre analiste vengono presentate come i pilastri di un nuovo modo, dopo Freud, di concepire il mondo della bambina e il suo sviluppo sessuale. La sessualità femminile viene liberata dalla strettoia riduttiva in cui l'aveva messa Freud con l'invidia del pene e viene affrontata in modo più articolato. Con la Klein essa verrà a rappresentare un modello relazionale dove il rapporto con la madre quale primo oggetto d'amore sarà determinante.
La metapsicologia freudiana riceve un'attenzione tutta particolare. La prima topica freudiana con l'inconscio, preconscio e coscienza, viene presentata come il modello strutturante della mente e ritrova le sue radici nel "Progetto". Solo dopo molti anni, nel 1923, con "L'Io e l'Es" Freud sentirà il bisogno di proporre un altro modello, presentato come seconda topica, dove la mente è vista come risultato di forze contrapposte legate all'Es, Io e Super-Io. Il passaggio dalla prima alla seconda topica sarà segnato da "Al di là del principio del piacere" del 1920, cardine di uno spostamento di vertice che permette di concepire la mente come il risultato di una dialettica tra pulsioni di vita e di morte.
L'introduzione del concetto di "pulsioni di morte", peraltro non accettato tuttora da molti analisti anche ortodossi, ha proposto un modello completamente nuovo di funzionamento mentale ed ha aperto la strada all'opera di M. Klein e all'ulteriore prezioso e attuale approfondimento ad opera di W. Bion.
Il capitolo X di questa "Storia del la psicoanalisi" affronta lo storico conflitto tra Freud e Jung che viene ricondotto al ruolo della sessualità, al significato del transfert e al concetto di inconscio. Quest'ultimo è per Jung collegato all'archetipo più che al rimosso. È agli archetipi che Jung affida il compito di contenitori depositari della memoria dell'umanità e quindi di funzioni trasmissibili geneticamente. Ne deriva che anche nella interpretazione dei sogni Jung utilizza, contrariamente a Freud, la storia delle religioni, l'etnologia e l'antropologia piuttosto che la storia personale dell'analizzando e le sue personali specifiche vicende emotive che si attualizzano nel transfert.
È interessante lo spazio che Silvia Vegetti dà ad altre teorie eterodosse che hanno finito per creare nell'ambito del movimento psicoanalitico molta confusione ed hanno stimolato prese di posizione fortemente ideologiche e per alcuni aspetti deliranti. Mi riferisco all'opera di Wilhelm Reich che, accanto a concetti interessanti e ricchi di implicazioni cliniche, come quello di "corazza caratteriale", introduce idee utopiche come quella della sessualità completamente liberata, o idee false come quella che nega l'Edipo in quanto dramma universale dell'uomo e lo relega a sottoprodotto di forze sociali che operano dall'esterno, o idee francamente deliranti come quella di energia organica. All'opera di Reich va inoltre riconosciuta la responsabilità di aver introdotto il cosiddetto freudomarxismo e di aver fondato la sinistra psicoanalitica che si è caratterizzata per le false idee di libertà che conteneva. Su questa linea di pensiero si muovono Deleuze e Guattari, da una parte, e Herbert Marcuse dall'altra. I primi accusano con arroganza la psicoanalisi freudiana di aver annullato la produzione di desiderio inconscio e idealizzano la schizofrenia che identificano con la libertà assoluta e con la possibilità di soddisfare ogni potenzialità umana. L'autrice qui giustamente sottolinea il pericolo di questo nuovo idealismo, ma forse non evidenzia con sufficiente forza la negazione del dolore mentale che è presente nel pensiero di Deleuze e Guattari, n‚ le falsità ideologiche del concetto di libertà che essi propongono e che li pone automaticamente al di fuori del pensiero psicoanalitico.
In un certo senso lo stesso rilievo può essere mosso a Marcuse. L'entusiasmo che i suoi scritti avevano prodotto in tutti noi negli anni intorno al '68, in cui veniva affermato che la liberazione dell'uomo passa attraverso la riconquista di se stessi, non deve impedirci di vedere l'assurdità antianalitica di alcune sue teorizzazioni che, almeno per quello che riguarda la sessualità, erano fondate su una disperata quanto inattendibile idealizzazione della pregenitalità a danno della genialità più matura.
Karl Abraham rappresenta nella storia della psicoanalisi la cerniera che permette il passaggio da una concezione della mente e del suo sviluppo ad un altro. Il concetto freudiano di narcisismo primario viene per la prima volta messo in crisi: Abraham scorge già nella fase orale un abbozzo di rapporto oggettuale e sottolinea la dimensione narcisistico-distruttiva delle psicosì. Il pensiero di Abraham diventa allora fondante il percorso storico post-freudiano in quanto ad esso si collega direttamente quello di Melania Klein e degli autori post-kleiniani come H. Rosenfeld, che più degli altri ha contribuito a trasformare il concetto di narcisismo ed ha individuato il ruolo del narcisismo distruttivo nella malattia mentale (e, si badi bene, non solo nelle psicosi ma anche nelle nevrosi) Attraverso l'insegnamento di Abraham, Melanie Klein si pone legittimamente nella linea di discendenza da Freud. Ma con il suo avvento la psicoanalisi completa quel processo di trasformazione che può essere fatto iniziare con "Al di là del principio del piacere" del 1920. Un vero e proprio cambiamento rivoluzionario - come afferma Silvia Vegetti - di paradigma scientifico. M. Klein sostituisce il concetto dinamico di inconscio con quello, più storico, di oggetti interni inteso come precipitato oggettuale che si deposita nel tempo a costituire il nostro mondo interno. I processi di negazione, scissione, identificazione proiettiva e introiettiva, vengono definiti con precisione nelle vane tappe evolutive della mente, caratterizzate dalle due posizioni fondamentali: la schizo-paranoide e la depressiva. L'anticipazione, rispetto a quanto aveva fatto Freud, delle dinamiche relazionali con la coppia dei genitori, viene ad anticipare nella Klein la fase edipica e viene a modificarla, focalizzandola sulla madre come unico oggetto primario con cui il bambino o la bambina dovrà vivere le sue esperienze fondamentali. Guida assoluta di questa esperienza è il mondo delle pulsioni di vita e di morte di cui le fantasie inconsce rappresentano gli imperanti equivalenti mentali.
La Vegetti dedica chiare pagine al modello kleiniano di sviluppo cogliendo nel pensiero della Klein la complessità che giudica come il miglior antidoto alla semplicistica impostazione degli psicologi dell'Io (tipo Hartmann) di stampo americano. Era inevitabile che dal pensiero della Klein emergesse una polemica con Anna Freud, un dissenso ormai storico, che la Vegetti affronta con molta obiettività. Il dibattito tra queste due grandi autrici è stato seguito con interesse proprio perché ha rappresentato in un senso più ampio la polemica tra genetisti e ambientalisti. Per la Klein il dramma dell'uomo è riconducibile alle sue pulsioni e al modo con cui è in grado di gestirle nella sua relazione con la madre. Anna Freud dà più risalto alla interazione con l'ambiente sociale.
A metà strada si pone Donald Winnicott, un autore certamente molto ricco e che ha avuto molti seguaci anche in Italia. Il problema dell'alienazione, il disagio della civiltà di freudiana memoria, viene trasformato da Winnicott, che non condivide il pessimismo freudiano (a fortiori quello kleiniano che si basa sull'opera incessante delle pulsioni di morte). Egli propone così una nuova pediatria, improntata a un certo ottimismo non so quanto realistico, in cui l'uomo può e deve essere felice. Riconosce Winnicott che la felicità dell'uomo, come la sua infelicità, si strutturano nel primo rapporto con la madre-ambiente e in questo senso Winnicott può essere considerato un kleiniano, ma il suo negare le pulsioni di morte e il loro silenzioso lavoro lo pone al di fuori del movimento kleiniano. Va riconosciuto comunque a Winnicott il merito di aver teorizzato quegli aspetti transizionali dello sviluppo che tanta parte hanno anche nella vita degli adulti.
Il penultimo capitolo di questa "Storia" è interamente dedicato a Lacan e alla sua scuola. Considerato il successo che il pensiero e l'insegnamento di Lacan hanno avuto in Italia, anche se con risultati non sempre edificanti, non si può non essere d'accordo con lo spazio che l'autore gli ha dato. La parola d'ordine con cui Lacan inaugura il suo pensiero è nota: l'inconscio è strutturato come un linguaggio. Questa formula ha subito incontrato il favore di molti che hanno visto in essa la possibilità di coniugare l'insegnamento di de Saussure con quello di Freud, attribuendo alla lingua il privilegio di un sistema di segni capace di unire significante e significato. Lacan propone di tradurre i meccanismi onirici della condensazione e dello spostamento nei corrispondenti linguistici della metafora e della metonimia, ma l'autrice sottolinea giustamente come Lacan, privilegiando, del sogno, la verbalizzazione, ne neghi le proprietà collegate alla visione e alla rappresentazione. Direi inoltre che il privilegiare l'aspetto linguistico nella interpretazione dei sogni può significare trascurare quegli aspetti primari della identificazione, in particolare della identificazione proiettiva, che sono alla base del lavoro onirico e che non necessariamente si esprimono attraverso il linguaggio. L'autrice presenta i primi lavori di Lacan, quelli della fase dello specchio, come i contributi più originali e più profondamente analitici di questo autore per il quale la follia si collega a una mancanza di simbolizzazione. Nella tarda età, Lacan si è presentato come un personaggio ambiguo non solo come analista ma anche come teorico e le opinioni sul suo pensiero sono diventate molto controverse.
Una notevole attenzione viene data agli scritti di quegli autori italiani che si sono integrati nel contesto analitico internazionale. Particolare risalto viene dato al lavoro di Matte Blanco su l'"Inconscio come insiemi infiniti" e a quello di Fornari sull'"Analisi coinemica" e al suo assunto - di matrice kleiniana - di privilegiare il mondo interno rispetto alla realtà oggettiva. Fornari considera le pulsioni di morte come attributo ineluttabile della natura e un loro equivalente, come pulsione di appropriazione, viene considerato il responsabile di una pregenitalità che si contrappone nettamente a una genitalità fondata sullo scambio. La storia della psicoanalisi italiana in particolare è stata affrontata con cura e obiettività anche se alcune date relative all'inizio del movimento e alla fondazione della Società Psicoanalitica Italiana andrebbero riviste. Per il resto troppo recenti sono gli avvenimenti che hanno caratterizzato la nascita della psicoanalisi in Italia per poter dire una parola definitiva. Avremo bisogno di tempo per capire il significato che la psicoanalisi ha avuto da noi, e non soltanto per lo sviluppo specifico e le proporzioni che questa disciplina ha assunto, ma anche per il contributo che ha dato e sta dando al processo trasformativo di una società come la nostra, a lungo intorpidita dalla chiesa e da un fascismo ignorante e fondamentalmente stupido.
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