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In principio fu la guerra. Questo il fattore genetico dello stato moderno e questa la tesi che Reinhard propugna, collocandosi nell'alveo di una tradizione storiografica di lunga data. Così dicendo, si potrebbe pensare che si tratti dunque di un testo superfluo e ripetitivo. Anzitutto, va sottolineato come oggi sia stata quasi rimossa la consapevolezza di questa origine della struttura statuale, nata come una macchina bellica, creata e mossa dalle esigenze dell'efficienza militare. Forse è anche in questa sottovalutazione di un tratto distintivo della nascita dello stato moderno che risiede l'incomprensione delle spinte antistatuali odierne, dei separatismi, secessionismi e leghismi vari, che attraversano e rischiano di sconvolgere la politica di non poche democrazie parlamentari europee. Tutte sviluppatesi tra XVI e XX secolo all'interno dei confini geografici, etnici e linguistici di nazioni che si corroboravano in misura direttamente proporzionale al consolidamento dell'organizzazione burocratica dello stato, le odierne democrazie europee stanno subendo una riconfigurazione che potrebbe apparire meno sorprendente se misurata con i tempi della plurisecolare storia del Vecchio continente. L'assenza di guerre, fortuna delle ultime due o tre generazioni di europei occidentali, rende non sempre forti gli argomenti che vengono addotti dalle classi governanti per legittimare ponderose burocrazie ed esosi sistemi di tassazione. Dovrebbe riuscirvi il welfare, con sanità e istruzione in testa, ma è fragile la cultura solidaristica e progressista che ne è stata volano ideologico nei decenni postbellici, e che fu boccata d'ossigeno per l'esausto stato-nazione. Risulta così quanto mai difficile sostenere oggi la causa statale, ed ecco apparire un "nuovo medioevo" europeo.
Danilo Breschi
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