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Scrivere la storia delle storie d'Europa è impresa non facile, che il modernista Marcello Verga declina in una direzione originale: si occupa infatti di quella che è stata, fra gli storici, la "rappresentazione intellettuale" dell'Europa dal Settecento in poi, sulla base di una definizione di partenza che qualifica il Vecchio continente come uno "spazio di civiltà". Per esempio, nell'Europa tratteggiata da Voltaire si specchiava la civilisation francese, laddove la scuola scozzese si concentrò maggiormente su stati e nazioni (in particolare su quella che Ferguson chiamò l'"emulazione delle nazioni"). Venne poco a poco a svolgersi, fra gli storici, una vera e propria "guerra". Essa non faceva che riflettere la fluidità del concetto stesso di Europa, capace di mutare, anche molto rapidamente, con l'evolversi della realtà politica. Negli ultimi decenni del Novecento, da un lato il dibattito ha visto attivi sul campo europeisti ed euroscettici, soprattutto in relazione alla possibilità di dar luce a organismi che concretizzassero in sede istituzionale una lunga storia comune, dall'altro si è lavorato a un approccio condiviso per il problema dell'Europa unita, ad esempio con dei manuali scolastici impostati sullÆeuropeanly correct. Non è forse vero, dice Verga, che il crollo del blocco sovietico, causando il rientro di numerosi stati sulla scena continentale, determinò una "crisi del discorso europeo" così come esso veniva tradizionalmente inteso? L'autore è peraltro critico verso quanti (Le Goff e altri), rovistando fra le pieghe della storia, finiscono per costruire identità europee del tutto artificiali. Meglio sarebbe forse, sulla scia di Toynbee, rivedere la storia dell'Europa "come parte di una nuova storia 'universale'".
Daniele Rocca
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