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Finalista Premio Strega 2019, proposto da Furio Colombo
Finalista della 35^ Edizione del Premio Letterario Nazionale per la Donna Scrittrice "Rapallo"
Finalista del premio Viareggio-Rèpaci 2019 per la Narrativa
Tra la Basilicata e Brooklyn, da Roma a Londra, dall’infanzia al futuro, il nuovo libro dell’autrice di Cleopatra va in prigione è un’avventura che unisce vecchie e nuove migrazioni, un viaggio alla scoperta di identità molteplici e amori unici, e il ritratto indimenticabile di una famiglia e di un mondo apparentemente lontani che ci parla con assoluta precisione di oggi.
«La straniera ha architettura solida e scrittura fiammante» - Claudia Durastanti, Sette
«Sulla scrittura di Claudia Durastanti non si possono spendere che elogi, è di una eleganza e funzionalità ammirevoli» - Piersandro Pallavicini, Tuttolibri - La Stampa
«Claudia Durastanti è fatta per raccontare. La giovane scrittrice mi ha subito costretto a entrare nel suo mondo dandomi una spinta generosa e brutale alle spalle» - Alfonso Berardinelli, Il Foglio
«La storia di una famiglia somiglia più a una cartina topografica che a un romanzo, e una biografia è la somma di tutte le ere geologiche che hai attraversato»
Come si racconta una vita se non esplorandone i luoghi simbolici e geografici, ricostruendo una mappa di sé e del mondo vissuto? Figlia di due genitori sordi che al senso di isolamento oppongono un rapporto passionale e iroso, emigrata in un paesino lucano da New York ancora bambina per farvi ritorno periodicamente, la protagonista della Straniera vive un’infanzia febbrile, fragile eppure capace, come una pianta ostinata, di generare radici ovunque. La bambina divenuta adulta non smette di disegnare ancora nuove rotte migratorie: per studio, per emancipazione, per irrimediabile amore. Per intenzione o per destino, perlustra la memoria e ne asseconda gli smottamenti e le oscurità. Non solo memoir, non solo romanzo, in questo libro dalla definizione mobile come un paesaggio e con un linguaggio così ampio da contenere la geografia e il tempo, l’autrice indaga il sentirsi sempre stranieri e ubiqui. La straniera è il racconto di un’educazione sentimentale contemporanea, disorientata da un passato magnetico e incontenibile, dalla cognizione della diversità fisica e di distinzioni sociali irriducibili, e dimostra che la storia di una famiglia, delle sue voci e delle sue traiettorie, è prima di tutto una storia del corpo e delle parole. In cui, a un certo punto, misurare la distanza da casa diventa impossibile.
Indice
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Un romanzo ambizioso che racconta l'identità e il senso di appartenenza, mescolando autobiografia e riflessione culturale. Nonostante la profondità delle tematiche affrontate, lo stile frammentario e l'intreccio non lineare mi sono sembrati talvolta difficili da seguire e spesso dispersivi. L'autrice offre spunti interessanti, ma sembra perdersi in digressioni che appesantiscono il ritmo. Not my cup of tea.
un'agonia terminare questo libro, non mi ha catturata e nemmeno mi ha lasciato nulla.
Durastanti racconta in questo libro la storia dei suoi genitori (tutti e due sordi), delle loro scelte e del loro ammirevole tentativo di sottrarsi al vittimismo a cui la loro condizione potrebbe invece incoraggiare ad abbandonarsi. L’io narrante (autobiografico? fittizio? una mescolanza dell’una e dell’altra cosa?) è una donna sensibile ed intelligente che fa riflessioni degne di attenzione per almeno settanta pagine. Poi la storia si sfalda un po’: i genitori scompaiono quasi e l’io narrante si colloca al centro parlando di sé senza troppa convinzione. Un editore più esigente avrebbe aiutato la scrittrice a fare meglio
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
I vincitori del concorso “Caccia allo Strega” 2019
Valentina - Recensione stregata scelta da Claudia Durastanti
Memoir, saggio, autobiografia, qualunque genere esso sia non interessa perché questo libro è bellissimo e può permettersi la presunzione di scegliere da sé a quale genere appartenere. La Straniera ricostruisce il "lessico famigliare" della sua autrice. Racconta la storia di sua madre, poi di suo padre, infine la sua, facendosi anche portavoce di una generazione. Nata da genitori sordi, incoscienti (forse), sicuramente liberi, che non hanno fatto altro che mettere in discussione se stessi e soprattutto il proprio vicolo fisico, Claudia ripercorre le scelte fondamentali della sua famiglia- da quella di ribaltare la disabilità (e viverla con incoscienza) a quella di adottare strategie di dissimulazione e poi gli incontri, il matrimonio, la migrazione, il divorzio, fino alla scelta di tornare in Italia. Claudia ha voglia di imparare, studiare, capire, conoscere e si rifugia nei libri e nei film, ma soprattutto nei libri che diventano subito l'unica strategia di resistenza e di escapismo. Intanto nel suo migrare e poi tornare, prende vita una nuova definizione di Straniero ovvero colui, che anziché sentirsi solo, ha più punti di approdi, più patrie, e può scegliere da che parte stare. Allora il libro diventa il superamento della soglia, dal prima al dopo, attraverso gli eventi che cambiano e ci cambiano. Tutto ciò che è all'apparenza fragile mette radici fortissime nel libro, la realtà è vera e spietata, non ci sono filtri né traumi che non possono trasformarsi in passaggi segreti per terreni nuovi. E allora disabilità, migrazione, ritorni, amore filiale e amore carnale diventano espedienti per una storia che funziona. Bellissima la domanda finale con cui l'autrice ribalta tutto. Uno stile davvero contemporaneo. Copertina: 5 Storia: 4 Stile: 4
Corrias Giuseppina
Non lasciatevi ingannare dall’opacità della foto dell’autrice in quarta di copertina. Per lei ce ne vorrebbe una almeno tridimensionale. È lei infatti anche la fragile giovane senza volto in copertina; anzi è lei la copertina stessa, con quell’esplosione di rosso che irradia tutta l’energia del suo grido al mondo: QUANDO TUTTO CADE, INDOMITO L’AMORE RESTA. (Che è Marx; ma lui parlava solo di coraggio). Perché lei è così: sempre nervosa, deprivata ed elettrica. Come la storia che racconta. E non leggete il titolo secondo le orribili logiche del linguaggio attuale in cui le parole sono sempre pro o contro, incrostate dalle scorie di campi semantici dualistici e oppositivi. Uno dei poteri di questa strega lucana nata a Brooklyn è prendere parole intossicate - migrazione povertà classe ecc. - togliergli il marcio di cui le abbiamo riempite in questi ultimi squarci di modernità e restituircele geneticamente mutate. Un esempio. Chi non sente - come papà e mamma della narratrice - non è sordomuto handicappato disabile diversamente abile...No. È lui. È lei. Singolare. Unica. Straniera. Come sua madre; che lascia che la credano tale piuttosto che sorda e l’ha chiamata Claudia, convinta che quel nome fosse sinonimo di forza. Ha imparato da sua madre, “la figlia della muta”, a scambiare un errore o una lacuna fisica per una risorsa e a elevarsi sul resto del resto, inventandosi una lingua alluvionale fatta di depositi di Continenti diversi e varie Ere esistenziali meravigliante e travolgente come la banda e i fuochi d’artificio in una sagra di paese. Memoir romanzo autobiografia? Molto di più. Un Inno. Un omaggio devoto ed entusiasta a sua madre. In punta di fioretto. Per salvare sé stessa e quelli con cui fa famiglia - fratello padre “Bobby” e infiniti altri e altre - non guarda in faccia nessuno e: dagli! bugie furti colpi bassi; più talento e bravura q b. Copertina 5 Storia 5 Stile 5
Aurora
Classe 1984, doppia nazionalità, una personalità incostante, fragile ed eppure anche tenace, Claudia Durastanti offre nel suo memoir il ritratto sghembo di una famiglia inquieta e decisamente poco convenzionale che viene presentata per temi alla maniera di un oroscopo (i viaggi, la salute, il denaro, l’amore) ma si sviluppa nello spazio come una carta topografica mediante tutti i percorsi di “partenze e ripartenze, strappi, suture e tagli” che sembrano caratterizzare, da una generazione all’altra, i principali personaggi. Un percorso di crescita ostico, in vero, per l’autrice, nipote di emigrati, figlia di genitori sordi, migrante a sua volta (anche se, in un percorso decisamente anomalo, dall’America alla Basilicata, e perciò “di ritorno”) e poi bambina e adolescente lucana, studentessa di antropologia a Roma e infine expat nella Londra del post-Brexit. Con uno stile accurato che equilibra sapientemente le parti più romanzesche con parentesi ora saggistiche ed ora più ironiche e pop (moltissime le citazioni, in questo senso, di libri, canzoni e film) Durastanti affronta temi come la disabilità, la povertà, la definizione della propria appartenenza e, per continuo, della propria identità, con un approccio lucido e mai scontato in cui la dimensione personale finisce per allargarsi ad abbracciare quella di un’epoca e in cui “quel miscuglio di aspirazione, vittimismo, cabala, accidia e rabbia” ereditata, al posto di una fede politica, dai suoi familiari, si riflette nella solitudine e nell’inadeguatezza di un’intera generazione: quella stessa generazione che per caso o necessità si è trovata ad avere sempre più legami col mondo, a spostarsi e a parlare più lingue senza tuttavia riuscire (non sempre, perlomeno) a far corrispondere a questa condizione un senso intimo di scelta e, di conseguenza, di libertà. Perché “straniero”, ci ricorda l’autrice, “è una parola bellissima”. Ma solo quando nessuno ti costringe ad esserlo. Copertina: 3 Storia: 4 Stile: 4
Daniela
C’è chi parla di memoir e chi di autobiografia romanzata. Qualcuno l’ha definito una lunga lettera d’amore, altri un'autofiction. Classificare questo libro significherebbe vincolarlo agli schemi e alle regole di un unico genere letterario, ma l’irruenza e la forza delle parole non si accontentano di definizioni e limiti. Claudia Durastanti ci rende partecipi di un’indagine familiare in cui finzione e realtà si mescolano rendendo impossibile circoscrive i rispettivi campi d’azione. Figlia di genitori muti, racconta la disabilità come perdita di un “super potere”, dato di fatto e certezza immutabile, destinazione obbligatoria nella storia di ognuno. Pezzi di vita ordinati con cura come piccoli tesori esposti in vetrina, scatti di un’infanzia insolita che, da un lato svelano la difficoltà di accettare e affrontare la disabilità e dall'altro descrivono l’amore come forza propulsiva, trasmettendo la certezza che “Quando tutto cade, indomito l’amore resta”. Gli spunti di riflessione fioriscono in ogni pagina, ma l’essenza del libro è quella che il titolo stesso ci suggerisce: in un mondo in continuo movimento essere stranieri non è più ASSENZA di radici ma ECCESSO di legami. E’ un valore aggiunto che rende liberi di scegliere che forma dare alla propria esistenza. Straniera è Claudia: curiosa, intelligente, dinamica e ribelle, figlia di ogni patria che l’ha ospitata e ha sfamato la sua sete di novità, figlia di ogni Paese che l’ha respinta. Straniera è chiunque abbia tanti punti di approdo e può scegliere in quali acque gettare l’ancora. Commovente, raffinato, dolce, profondo ma soprattutto innovativo nella capacità di affrontare temi quanto mai attuali, come l’emarginazione e l’estraneità, e di trasformarli in ricchezza, rivestendoli di una luce e di un colore che mai nessuno era riuscito a cogliere. Copertina 5 Storia 5 Stile 5
Giacomo
“La straniera” non può essere considerata un’autobiografia canonica, sia perché la forma romanzo non viene mai meno sia per la non linearità del racconto. La trama, infatti, si articola in sezioni suddivise secondo una terminologia astrologica, derivata, come affermato dalla stessa Durastanti, dalla visione della famiglia come una galassia e dei legami trai vari membri come costellazioni da interpretare. Il senso d’estraneità evocato dal titolo è tutto nella lingua e nel linguaggio, nell’eterno problema della traduzione: da una lingua all’altra, da un luogo all’altro, da disabilità comunicative al resto del mondo. La traduzione però coinvolge, ed è questo un punto importante del romanzo, anche la memoria, il rapporto con la propria infanzia, con le sue difficoltà e la necessità d’interpretarle una volta cresciuti, per verificarne la portata e quantificarne il valore nel presente. Emerge dunque una necessità di chiarezza, il bisogno di comprensione e Claudia Durastanti, a differenza di altri scrittori italiani contemporanei, sceglie un linguaggio piano, vivido, che evita impeti di trasporto eccessivo per fermare i quadri rappresentati in una loro identità, così da poterli veramente comprendere e affrontare. Ecco dunque che si torna a un altro motivo di fuoriuscita dall’autobiografismo: il romanzo, come tale, non si mette del tutto al riparo dalla finzione, dall’invenzione letteraria, e proprio per questo nel modo di elaborare traumi e solitudini “La straniera” oltrepassa il limite della storia personale di chi scrive per divenire un racconto condiviso, proprio di ciascun lettore. Copertina 4. Storia 4. Stile 5.
IL RIFUGIO DELL'IRCOCERVO - letterature, mondi e animali mitologici
Famiglia, Viaggi, Salute, Lavoro&Denaro, Amore. Sono le categorie in cui Durastanti ha riordinato i ricordi della sua vita, anche se sembrano rimandare, forse volontariamente, alle principali sezioni degli oroscopi. Non a caso l’ultimo capitolo, una brevissima riflessione in cui l’autrice trae le conclusioni dell’intero memoir, s’intitola proprio Di che segno sei.
La particolarità più intrigante di un’opera come La straniera, è la sua pretesa di mettere a nudo l’intera esistenza di una persona senza per questo doversi appoggiare al classico ordine cronologico. Al suo posto, l’autrice predilige infatti la divisione tematica, in cui due o più momenti vengono messi in relazione in virtù del loro contenuto affine. La scelta di ordinare questa carrellata di ricordi in cinque sezioni non è casuale: ciascun campo tematico richiama spontaneamente alcune delle esperienze più importanti della sua vita. In ordine di importanza, la prima sezione riguarda la famiglia.
Se possiamo davvero rifarci alla metafora dell’oroscopo, bisogna ammettere che quello dell’autrice non è stato affatto clemente. Si comincia quindi dalla sua Famiglia: disordinata, caotica, sfortunata. Tra due genitori sordi, un padre violento e la povertà, le esperienze di Durastanti sono state duramente influenzate da un contesto familiare borderline, che l’autrice tratta nel suo romanzo con ammirevole tranquillità, senza vittimismo o autocommiserazione.
La prima sezione è anche quella più strettamente cronologica, in quanto incentrata sul racconto delle biografie dei due genitori. D’altro canto, si tratta di ricordi di seconda mano, molto meno malleabili di quelli di cui la scrittrice ha avuto esperienza diretta. Le figure della madre e del padre rappresentano qualcosa di più di semplici personaggi: sono la raffigurazione di un modo di affrontare la vita, una prospettiva sul mondo e un modello, il più delle volte negativo.
Nel capitolo dedicato ai Viaggi, emerge tutta l’anima cosmopolita di una donna cresciuta a cavallo di un desertico paesino della Basilicata e della frenetica Brooklyn, per poi trovare con sofferenza la sua strada a Londra. Si prosegue quindi tra le varie malattie – reali o presunte, sue o dei suoi cari – affrontate nella sezione Salute, e per le infelici tensioni che hanno regnato le esperienze lavorative dell’autrice, fino a quella piccola parentesi chiamata “Amore”, secondaria e quasi dimenticabile. L’onnipresenza della figura della madre schiaccia quella di un compagno che viene citato solo alla fine, quasi per sbaglio. Non è la rappresentazione consapevole di una gerarchia di affetti, ma la naturale conseguenza del fatto che alcune persone ci determinano in modo più incisivo di altre.
Anche nel momento in cui ci si addentra nel cuore più autobiografico dell’opera, lo stile narrativo mantiene un tono freddo, distaccato, a tratti quasi impersonale. Il classico stile discorsivo di chi si impegna per descrivere i fatti, anziché costruirci sopra un’esperienza narrativa. Una confessione, più che un racconto. E infatti l’autrice si mette a nudo, con un’oggettività che schiaccia l’elemento più prettamente emotivo: racconta la sua vita intervallandovi riflessioni raffinate e citazioni colte, con uno stile asciutto e fluente, e la capacità di estrapolare insegnamenti universali da quelle che sono state le sue concrete esperienze di vita.
La straniera è quindi la storia vera di una giovane donna che, come tante altre, è stata segnata dall’intreccio dei grandi eventi storici contemporanei con le “piccole” tragedie familiari. Un memoir classico e ben fatto, che non spicca forse per l’originalità dell’idea, del contenuto o della forma, ma che si fa notare in virtù della sua capacità di tracciare un affresco consapevole e spontaneo di un’intera generazione, senza stereotipi o vittimismi. È la generazione nata negli anni ’80, figlia della globalizzazione e del pluralismo culturale, che in questo romanzo viene rappresentata dalla straniera per eccellenza: bilingue, intraprendente, figlia della povertà e di due genitori sordi, esclusi dalla società ma loro schiavi, istruita nonostante le sue origini umili, irrequieta e disillusa. Cittadina al tempo stesso del mondo intero e di nessun luogo.
Anja Boato
Come deve essere a sei anni trasferirsi dalla Basilicata alle luci di Brooklyn? E il contrario? Perché questa è la traiettoria che è stata disegnata per Claudia Durastanti – scrittrice e traduttrice che oggi vive e lavora a Londra –, e che ora viene raccontata in un memoir personalissimo come La straniera. Un racconto che si muove nel tempo e soprattutto nello spazio, perché sono i luoghi geografici a scrivere e farci immergere nella sua storia famigliare. Una vicenda di continue migrazioni, andate e ritorni, che l’hanno portata a essere quello che è oggi. Centrale è la figura della madre, un personaggio sofferto – soprattutto perché sorda, come il marito – e incredibilmente umano, che incontra l’uomo della propria vita il giorno in cui sta per buttarsi da Ponte Sisto a Roma. O forse non è andata esattamente così, ma poco importa.
Le pagine seguono prima le tracce della donna, dagli anni nel paesino dei nonni a quelli del collegio a Potenza. E poi le visite ai genitori rimasti a NY e lo shopping a Soho, il mare – si fa per dire – a Dead Horse Bay. E la vita che prosegue, e si intreccia con quella di una bambina cresciuta tra Little Richard e il Mago di Oz. La vita di Claudia, così come era stata quella di tutta la famiglia, sarà segnata dai viaggi e da una certa irrequietezza, oltre che curiosità. Prende il sopravvento nelle pagine, in una dimensione sempre sospesa tra riferimenti più che concreti, speculazioni sull’esistenza e atmosfere oniriche. Dove vive chi si sente sempre straniero, a casa propria e nell’angolo più sperduto.
Claudia Durastanti (Brooklyn 1984) è scrittrice e traduttrice. Al suo attivo ha tre romanzi e con il memoir La straniera quest’anno è finalista al Premio Strega.
Diviso in sei grandi capitoli Famiglia, Viaggi, Salute, Lavoro & denaro, Amore, Di che segno sei, La straniera è un libro complesso e spiazzante, addolorato e ironico. Di sicuro la Durastanti si avvale di mille colti riferimenti letterari, cinematografici, musicali e antropologici – materia dei suoi studi universitari – per rinforzare e sottolineare la narrazione della propria esistenza. Un’esistenza difficile e svantaggiata come può esserlo quella di una figlia di genitori nati sordi e che solo con il tempo hanno imparato a parlare, ma non necessariamente a comunicare. E quando lo fanno scambiano finzione e realtà, rifiutano il linguaggio dei segni e sono nel contempo segnati da una disabilità mai accettata, anzi combattuta con violenza per carattere e forti disagi psichici.
Una figlia nata nel quartiere Italo-americano di Brooklyn e riprecipitata giovanissima nella Basilicata della Valle d’Agri, luogo di origine della sua estesa famiglia migrante.
Di questa famiglia spaccata in due fra America e Italia, dei viaggi annuali per rivedere i nonni materni, del grande divario fra realtà umane e sociali così in contrasto, della sua personale sofferenza nel rapportarsi ai genitori, la Durastanti parla a lungo e con distacco, senza mai piegarsi all’autocommiserazione o indulgere in richieste di pietà al lettore.
Il suo approccio alla diversità – quella dei genitori e la sua stessa di giovane donna per anni vicina a essere definita un caso borderline – è da un lato simile a quello di un entomologo che si china su un gruppo di strani e intriganti insetti:
In tredici anni di terapia, sono sempre stata nella zona ambigua tra una morte possibile e una vita mai del tutto piena, come tanti, forse come tutti. C’è stato un periodo in cui su dieci tratti della sindrome di personalità borderline ne ho avuti otto. Il confine in me era già segnato, e mi è sempre stato chiesto di attraversarlo: ogni volta che uscivo da casa di mia madre entravo in un mondo diverso, di cui dovevo apprendere la furbizia e i codici, la bellezza e i sistemi, barattandoli per qualcosa di confuso e approssimato ogni volta che rientravo, e a un certo punto mi sono smarrita. Una parte della mia vita era invisibile, non detta, e a lungo non ho saputo chiamarla.
Dall’altro basato invece sul rovesciamento di concetti acquisiti e scontati: La straniera è una biografia eppure la Durastanti la definisce la bastarda dei generi letterari una cosa che solo i sopravvissuti possono scrivere. Ma a ben vedere anche lei è una sopravvissuta: alle violenze psicologiche di un padre che ne ha distrutto l’autostima; allo strano e contorto amore di una madre che si è affidata alla propria disabilità come un drogato all’eroina; infine a due genitori incapaci di amare e proteggere, ma pronti a usare questa figlia come arma di ricatto.
E se è vero che il linguaggio è la più potente forma di comunicazione fra esseri umani, possiamo immaginare quanto sia stato arduo crescere con genitori il cui linguaggio in nulla somiglia a quello parlato altrove, non importa quale sia la lingua usata. E come i limiti di una comunicazione – verbale, sensoriale – appresi fra le mura domestiche possano nel tempo trasformarsi anche per la voce narrante in una disabilità ad approcciarsi al resto del mondo, di comprenderne le sofferenze. Alla Durastanti i piagnistei degli innamorati abbandonati sembrano vani e inutili; la povertà degli altri, sofferta da lei così a lungo nell’infanzia e prima adolescenza, qualcosa da ridefinire e classificare.
La straniera non è un libro facile per tema e argomenti trattati, ma si avvale di una scrittura densa e corposa, impegnativa eppure gratificante per il lettore che non voglia accontentarsi di una delle tante descrizioni scontate di una vita scontata. La straniera è un libro che scava dentro, costringe a ripensare ai rapporti, di amicizia e di amore, pone domande, come ogni buon libro dovrebbe fare e non da’ risposte. Quelle siamo noi lettori a doverle trovare.
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