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La storia di un mondo borghese che s'intreccia con la storia dell'Italia che intanto cambia in meglio e in peggio; il ritratto affettuoso e spietato di un luogo che è anche un tempo.
Valentino comprese che il passato non è tanto ciò che affiora dalla Storia, dalle rovine, dai massacri o dai monumenti, bensì un punto d'arrivo individuale.
Le famiglie felici non sono interessanti; quelle complicate sì. Valentino lascia la Calabria da ragazzo, negli anni settanta del Novecento, ma la maturità, che si annuncia con il balenio a sorpresa del rimpianto, lo costringe a voltarsi indietro per misurarsi con la memoria e le memorie del mondo in cui è cresciuto. E quando torna a guardare e ascoltare scopre che se le persone non ci sono più, e spesso non ci sono più da molto tempo, le loro vite sono lì, e chiedono di essere raccontate. Ecco i patriarchi: il vecchio Notaio con i suoi figli accidentali e il Farmacista col suo violino chiuso nell'armadio, due famiglie parallele due rami che s'incrociano nella famiglia nuova dell'Avvocato e della moglie, l'amatissima Tamara che solo lui chiama Mara; la gente del popolo: Ciccio Bombarda l'autista senza patente, Peppo della posta che ha paura dei figli, Rosa e Cicia le pasionarie, Maria-la-pioggia e Maria del Nilo silenziose come tutte le divinità; e poi zie bizzarre e amici immaginari, domestici fedeli e mogli minuscole come bambine, amicizie che durano dalla soffitta di casa al campo di battaglia, ideali irrinunciabili e inconfessate debolezze; e gli oggetti, le automobili, i due piccoli Gauguin appesi nell'ombra.
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«Dove saranno finiti tutti? Una volta popolavano il fondo dei suoi sogni; li vedeva sfilare di notte simili a figurine di carta; li vedeva trasformarsi da ombre in corpi e da corpi in statue, e ogni statua era una storia. Di giorno, invece, si perdevano in quella nebbia sfilacciata e inconcludente che sono i ricordi – franavano i volti, le parole dileguavano – e non importava trattenerli, fissarli. Valentino se ne andò alla fine degli anni Settanta del secolo scorso. Era un ragazzo e, come tutti i ragazzi, si guardò bene dal voltarsi indietro». Romanzo corale e familiare, che distacca un po’ dalle opere di Fortunato, penso a Noi Tre, ad Amore, romanzi e altre scoperte o al bellissimo Certi pomeriggi non passano mai. Qui ci troviamo di fronte alla narrazione di una storia privata, quella di Valentino, che prosegue parallela con lo sviluppo della storia d’Italia dagli inizi del Novecento fino agli anni ‘70. Un romanzo sincero, non facile da seguire per la mole di personaggi e nomi, rispetto ad altre opere dell’autore che sono più lineare, ma in aiuto ci viene un albero genealogico posto in calce all’inizio del romanzo. Un romanzo scandito in capitoli brevi, narrato in terza persona, riflette sulla condizione di esule e sul passato e sulle origini, per provare a darci un insegnamento, un monito: «E di conseguenza, mentre le lacrime si arrestavano con la stessa naturalezza con cui avevano mosso i primi passi, seppe che se si perde la relazione col passato si perde se stessi: perché il passato è più vasto del presente, per non parlare del futuro».
Una delle mie passioni è il racconto delle saghe famigliari che si snodano per molti anni e narrano la vita di molti personaggi. Ecco perché questo libro mi ha conquistato: la famiglia del Notaio e quella del Farmacista (insieme a quelle delle altre figure che ruotano intorno ad esse) si sviluppano e si intersecano dalla fine dell'Ottocento fino ai nostri giorni, avendo sempre come sfondo i fatti storici che hanno caratterizzato i vari periodi. Una particolarità che mi ha molto colpito è stata la quasi totale assenza di discorsi diretti: quei pochi presenti non hanno la normale punteggiatura, forse per non interrompere la narrazione ricca di sorprese. Un libro da non perdere!
Ho letto questo libro da poco e sono rimasto completamente rapito dalla storia e dallo stile fino all’ultima pagina. Lo consiglio assolutamente
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