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L'esperienza di dirigente politico di Togliatti è fortemente segnata, fin dall'inizio, dall'opposizione della coppia fascismo-antifascismo. In questo senso egli è una delle personalità più emblematiche della cosiddetta "guerra civile europea" che attraversa un buon quarto del Novecento e anche, da un altro punto di vista, delle contraddizioni profonde che l'antifascismo apre nei partiti comunisti. Il processo di incubazione e poi la nascita e la prima maturazione del fascismo italiano rappresentano l'orizzonte in cui si compie la sua formazione culturale e politica e la segnano in modo incancellabile.
La sconfitta subita dal movimento operaio italiano non solo nel "biennio rosso", ma nella fase cruciale della costituzione e della stabilizzazione del regime, mette in moto in Togliatti la volontà di capire fino in fondo la natura dell'avversario, che sarà la molla di una ricerca costante e approfondita sul significato del fascismo nella storia italiana e sulle sue ripercussioni europee. La tendenza a operare una distinzione strategica tra fascismo e capitalismo - che entra in tensione negli anni 1934-38 e poi di nuovo negli anni della "grande alleanza" antifascista con il nucleo originario della cultura politica comunista - ha in lui un interprete fra i più acuti anche se non sempre coerente.
Perciò giunge opportuna la pubblicazione di un'ampia raccolta di scritti di Togliatti sul fascismo, con un'introduzione di Giuseppe Vacca che è un vero e proprio libro nel libro.Giustamente l'antologia degli scritti si apre con il Rapporto sul fascismo preparato per il IV Congresso dell'IC, del 1922, che coglieva almeno alcuni elementi di novità contenuti nel fascismo italiano, anche se ne sottovalutava la durata e l'autonomia. Ma è soprattutto dal febbraio del 1926 che Togliatti, trasferitosi a Mosca come rappresentante del PcdI nell'Esecutivo dell'Internazionale, comincia a dedicare al fenomeno fascista un grosso sforzo di aggiornamento e di analisi, da un lato attraverso uno studio del suo intreccio con le tendenze del capitalismo italiano, dall'altro cercando di ricollegarlo al dibattito più generale in corso nel Comintern sulle forme della stabilizzazione capitalistica. Soprattutto, insiste nel richiamare il valore di una prospettiva attenta all'"analisi differenziata": a partire dall'articolo apparso nel maggio del 1926, e intitolato Le basi sociali del fascismo , critica "l'abitudine di impiegare il termine 'fascismo' in una accezione così generale da servire a designare le forme più diverse dei movimenti reazionari borghesi", e sottolinea la necessità di far precedere a qualsiasi tentativo di generalizzazione l'individuazione delle particolarità dei singoli movimenti che si possono avvicinare al fascismo. Identifica come tratti che caratterizzano il "fascismo tipo", cioè il fascismo italiano, la soppressione del regime parlamentare e la distruzione "delle libertà democratiche formali", che comporta il rifiuto di ogni compromesso con la socialdemocrazia e che pertanto rende incongrua un'omologazione della socialdemocrazia stessa al fascismo, rappresentata non solo come tendenziale, bensì come già in atto.
Questa posizione però si modificherà con gli anni successivi. In particolare, dopo la svolta "a sinistra" sancita dal X Plenum (1929), Togliatti è indotto ad accettare - sia pure all'inizio con riserve - il nesso stretto che l'Internazionale stabilisce fra crisi generale del capitalismo, processo di fascistizzazione e maturazione della crisi rivoluzionaria. Di quest'ultima vede i segni premonitori anche in Italia, e di conseguenza accetta la "svolta" che prevede lo spostamento del baricentro organizzativo all'interno del paese. Il metodo dell'analisi differenziata - rivendicato ancora a parole - lascia il posto a un'omologazione di tutte le forme di "dominio capitalistico", che sono viste convergere verso una "dittatura terroristica" del capitale finanziario. Forse Vacca è troppo generoso nel giudicare che il leader italiano cerchi in questi anni di "neutralizzare lo schema analitico del socialfascismo", del quale sembra invece - in termini di strategie politiche - quasi completamente succube. È vero però che a partire dal 1931 acquista maggior peso nell'analisi di Ercoli il consolidamento dell'organizzazione dall'alto delle masse operata dal fascismo, e si fa strada in lui la convinzione che solo una lunga e tenace azione condotta sul terreno legale, sfruttando tutti gli spazi di aggregazione offerti dalla tendenza stessa del fascismo a crearsi una base di massa, possa consentire di far crescere un movimento di massa capace alla fine di infrangere la legalità del regime.
Sia pure sotto traccia, sono così già anticipate le argomentazioni che svolgerà in forma più distesa, fra il gennaio e l'aprile 1935, in una serie di lezioni destinate ai quadri italiani della Scuola Lenin. La parte più originale delle lezioni, rinvenute solo nel 1970 da Ernesto Ragionieri nella forma degli appunti stenografici redatti da uno degli allievi, riguarda la descrizione e l'analisi dei meccanismi di potere e delle organizzazioni del regime. Implicitamente rimessa in discussione è la stessa caratterizzazione "terroristica" del regime: non nel senso che il terrore, inteso come repressione estesa e generalizzata di ogni forma di dissenso, non ne sia elemento centrale, ma nel senso che esso non è sufficiente a spiegare "dov'è la forza del fascismo italiano". La chiave di volta, così come il "tessuto connettivo" del sistema di potere del regime, sono individuati nel partito fascista, per il quale è riproposta la definizione di organizzazione "di tipo nuovo" della borghesia. La proliferazione di organizzazioni di massa relativamente autonome rispetto al partito - che Togliatti analizza una per una, soffermandosi però in particolare sul sindacato e sul dopolavoro - è vista come la via obbligata per ammortizzare le tensioni sociali che il perdurare della crisi economica mantiene a un livello endemico. Basta avere una certa familiarità con i documenti del Comintern dell'epoca (inclusi quegli stessi che forniscono la giustificazione politica e "teorica" della svolta dei fronti popolari) per constatare che l'analisi di Ercoli rappresenta un salto di qualità, che va ben oltre l'interpretazione del fascismo come puro "strumento del capitale".
L'elemento di maggiore originalità del saggio introduttivo di Vacca consiste nel raffronto tra l'analisi del fascismo sviluppata da Togliatti nelle Lezioni e quella che Gramsci traccia nei Quaderni , e nella tesi che la definizione del fascismo come regime reazionario di massa corrisponda alla nozione gramsciana di "rivoluzione passiva". Si tratta, di una tesi suggestiva, ma che per la verità non è sempre facile dimostrare limpidamente, soprattutto per la differenza - che Vacca stesso sottolinea - tra l'orizzonte teorico dei Quaderni , "più ampio e sofisticato [e] quello di Togliatti, condizionato sia dalle urgenze della lotta politica immediata, sia dai vincoli posti dal Comintern". Nondimeno, il messaggio politico fondamentale che le lezioni togliattiane vogliono lanciare è esplicito, e la sua affinità con le riflessione di Gramsci in carcere innegabile: "È un errore pensare che il totalitarismo chiuda alle masse la via alla lotta per delle conquiste democratiche (...) Il totalitarismo non chiude al partito la via della lotta ma apre vie nuove".
Ma non è nemmeno da trascurare un aspetto che Vacca ha lasciato fuori dalla sua introduzione, che pure è dedicata nella sua ultima parte, a ricostruire la strategia antifascista del Pci. Si tratta dell'influenza che a più breve termine l'approccio delle Lezioni esercita sulla linea politica del partito, e il modo in cui adattare la nuova tattica dei fronti popolari alla specificità della situazione italiana. Di fronte alle speranze che l'impresa etiopica suscita nella direzione emigrata a Parigi, e alla tendenza ad aprire, insieme con le altre forze dell'antifascismo, un discorso sulla prospettiva della "successione" al regime, Togliatti rimprovera al Pcd'I "una certa sopravvalutazione della maturità della crisi rivoluzionaria e (...) una sottovalutazione delle forze che la dittatura fascista ancora possiede".
Ne deriva in un primo momento un'accentuazione del carattere "anticapitalistico" piuttosto che esplicitamente antifascista della lotta in Italia, che si riflette nei toni del Manifesto per la riconciliazione del popolo italiano dell'agosto 1936. Certo, quando l'applicazione di questa linea assume toni imprudenti (con gli accenni di Montagnana e Gennari alla prospettiva di una "democratizzazione" del fascismo), sarà Togliatti stesso a correggere il tiro, chiarendo che il fascismo ha annullato "molte delle conquiste più elementari della rivoluzione borghese", ha "fatto rinculare la civiltà, (...) distrutto il senso del rispetto della personalità umana", e dunque ha ridato piena attualità a problemi "storicamente superati, come la conquista della libertà di pensiero, di coscienza, di associazione".
La rivendicazione delle libertà democratiche entra così, senza più apparenti riserve, a far parte dell'orizzonte strategico dei comunisti italiani. Ma non è certo arbitrario ricollegare la concezione del "partito nuovo" elaborata da Togliatti nel 1944 proprio all'analisi della politica di massa del fascismo tracciata nel 1935.
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