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Anno edizione: 2008
Anno edizione: 2023
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Perchè definire questa una lettura coraggiosa? perchè leggere di una tragedia annunciata in maniera così lucida e precisa spaventa. Ottima penna che denuncia quella di Tina Merlin.
Ingredienti: una giornalista-cassandra dalla voce scomoda e inascoltata, una diga costruita per interesse privato più che pubblico, una frana preannunciata causata dalla potenza e prepotenza umana, una catastrofe di 2000 vittime ancora spacciata per “cause naturali”. Consigliato: a chi teme i mostri generati dagli abusi del potere, a chi conosce come finiscono le tragedie in Italia (con assoluzioni o insabbiamenti).
Il libro della Merlin, che parla della famosa tragedia del Vajont, è un atto di accusa, chiaro e incontestabile, contro chi per denaro, e ben sapendo che il suo comportamento poteva provocare vittime, volle procedere lo stesso, un reato non da omicidio colposo, bensì quasi da omicidio volontario, ibrido peraltro non contemplato dal nostro codice penale, così che l’unica accusa fu quella di omicidio colposo. Non vado oltre perché occorrerebbero chissà quante pagine; mi limito solo a evidenziare il valore di questo libro. Tina Merlin è brava, perché unisce allo stile giornalistico una impronta narrativa, grazie alla quale ben si comprende l’atmosfera e si prende consapevolezza della paura di questi montanari, schiacciati da un potere insensibile. Le qualità che ho potuto apprezzare nel romanzo La casa sulla Marteniga qui sono al servizio di un’inchiesta giornalistica su un fatto drammatico, così che è evidente la tensione in attesa di un evento pressoché certo. Leggere queste pagine fa male, perché l’avidità di certi uomini non ammette l’esistenza di sentimenti, in quella che può essere definita un’orgia del potere. Da leggere senz’altro.
Recensioni
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Il libro, che ha ispirato lo spettacolo teatrale di Marco Paolini “Vajont 9 ottobre 1963. Orazione civile” che ha avuto tra l’altro il merito di aver fatto riscoprire al pubblico televisivo e dei media la vicenda del Vajont, prende le mosse dal 1956, anno in cui nella storia tribolata dei paesi di Erto e Casso entra la diga. Voluta dalla SADE, società privata per la produzione e l’erogazione dell’energia elettrica, come serbatoio che alimenterà la nascente industria metallurgica di Porto Marghera (Venezia), l’enorme manufatto alto 261 metri per una portata di 150 milioni di metri cubi d’acqua viene costruito in una zona geologicamente pericolosa. Nonostante le perizie lo confermino e segni premonitori segnalino sommovimenti del terreno, l’opera viene completata nell’autunno del 1959. Da allora fino al 9 ottobre 1963 i timori crescono e trovano eco negli articoli di Tina Merlin. Le sue denunce a nulla servono: la parola di una giornalista, per giunta comunista, non può che essere falsa e tendenziosa. Di più: conservatrice rispetto al modello di sviluppo che l’Italia adotta in quegli anni e che avrebbe portato senza dubbio posti di lavoro e benessere per tutti. Ostinatamente i tecnici vanno avanti. Invasi e svasi provocano scosse sempre più frequenti. C’è chi vede gli alberi camminare, ma qualsiasi allarme non ferma i 22 esperimenti compiuti. Nemmeno la simulazione fatta a Nove nell’estate del 1962 che lascia capire la portata della tragedia umana se la montagna dovesse franare. La decisione di nazionalizzare l’industria elettrica accelera i tempi di consegna dell’opera in perfetto funzionamento. Si comincia l’invaso, via via accompagnato da cedimenti e fessurazioni della roccia, che arriverà a 710 metri. Il 7 ottobre la preoccupazione prende tecnici, progettisti, operai di sorveglianza e amministratori locali. Si decide per lo svaso prima dell’irreparabile. Invece, a mano a mano che si abbassa il livello dell’acqua, la montagna, non più trattenuta dalla forza dell’acqua, comincia a scivolare lungo un piano inclinato. La sera del 9 ottobre 250 milioni di metri cubi di roccia precipiteranno nel lago sollevando un’onda di 100 metri di altezza che si riverserà in parte sui paesi di Erto, Casso, sulle frazioni di San Martino, Pineda, Spesse, Prada, Liron, Col della Ruava, Forcai, Valdapont e soprattutto su Longarone. Il giorno dopo, di fronte al mare di fango, giornalisti come Indro Montanelli e Dino Buzzati grideranno alla rivolta della natura, alla perfezione dell’opera tecnicamente ineccepibile, tacciando come sciacalli tutti coloro che osano parlare di responsabilità dell’uomo. 2000 morti sarà il costo del cosiddetto “progresso”.
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