La recente scoperta di nuovi e importanti documenti napoletani su Tanzio da Varallo ha riportato di attualità il problema del suo soggiorno al sud, finora abbastanza misterioso. Sapevamo che Tanzio lascia la Valsesia per Roma nell'anno 1600 e che vi sarebbe tornato solo quindici anni dopo (suo fratello Melchiorre, compagno nell'andata, torna invece subito prima del 1608) e che era verosimile una puntata a Napoli dove restano pochi frammenti di una sua Pentecoste. Problema a parte e non ancora risolto per intero è la presenza di ben tre pale di Tanzio in chiese abruzzesi (Pescocostanzo, Fara San Martino e Colledimezzo) verosimilmente inviate dalla capitale del Regno. Oggi le novità documentate sono che Tanzio si trovava già a Napoli nel 1608 (è testimone al matrimonio di un orafo tedesco) e che nel 1610 intendeva accasarsi in città sposando una vedova napoletana (ma si è accertato che il matrimonio non ebbe mai luogo). In una personale testimonianza preventiva al matrimonio stesso Tanzio dichiara nel 1610 di essere in città da circa nove anni provenendo da Roma dove aveva frequentato per tre anni la bottega del Cavalier d'Arpino: è evidente che Tanzio allarga un poco i tempi dei suoi trasferimenti, credo per convenienza; sono testimoni della sua promessa di matrimonio ben tre pittori d'oltralpe: Jacob Ernst Thomann von Hagelstein (da Lindau), Cristoforus Valem (da Spira) e l'austriaco Giovanni Fano. È evidente che le sue dichiarazioni impongono una radicale revisione da quanto finora ipotizzato per il soggiorno meridionale e su questo terremoto tentano di mettere ordine la mostra napoletana e l'elegante catalogo, per fortuna non inutilmente mastodontico. La curatrice del catalogo della mostra ((Napoli, Palazzo Zavallos Stigliano, 24 ottobre 2014 al 11 gennaio 2015) è Maria Cristina Terzaghi, formidabile conoscitrice dell'ambiente caravaggesco, accompagnata da Giuseppe Porzio, che cura l'edizione dei nuovi documenti, e Filippo Maria Ferro, che si è fatto carico di censire la presenza in Abruzzo di opere napoletane negli anni che riguardano Tanzio; un ruolo a parte tocca al saggio di Daniele Dell'Ombra che segue cronologicamente la fortuna di Tanzio negli scritti di Giovani Testori, precoce ed entusiasta estimatore del maestro valsesiano. Sono presenti alla mostra ben dodici opere di Tanzio accompagnate da altre diciotto che intendono evocare i contesti culturali conosciuti a Roma e a Napoli. Per Roma il Cavalier d'Arpino è rappresentato magnificamente da un Davide con la testa di Golia di collezione privata, mentre il Caravaggio annienta ogni confronto possibile con il tragico notturno del Martirio di sant'Orsola (1610), dipinto a Napoli per Marcantonio Doria e inviato dall'agente Lanfranco Massa a Genova (sappiamo che il Massa possedeva due dipinti di Tanzio). Sempre per Roma sarebbe stato opportuno convocare qualche prova, scelta bene, di Baglione e di Salini. A evocare il circolo degli stranieri "moderni" a Napoli, cui evidentemente Tanzio "tedesco" si appoggia, sono presenti due dipinti di Louis Finson, non di qualità all'altezza dell'Annunciazione di Capodimonte (1612), e il rarissimo rame con il ritorno di Giuditta a Betulia di Jacob Erst Thomann von Hagelstein, proprio il testimone per Tanzio nel processetto prematrimoniale citato sopra. Importa sottolineare che questo è l'unico dipinto finora noto dello Hagelstein, che fu in gioventù a Roma un apprezzato collaboratore di Elsheimer. I pittori locali attivi a Napoli e nel Regno in anni prossimi al soggiorno di Tanzio sono evocati da undici dipinti variamente caratterizzati da scelte formali più o meno caravaggesche, domina su tutti il potente confronto tra la precoce pala dell'Immacolata di Battistello Caracciolo (1608) e la sfolgorante pala di San Gennaro di Filippo Vitale, ormai del 1618, con Tanzio già tornato ad Alagna. È evidente che con tanta accortezza di scelte e con accostamenti così mirati la mostra innescherà molte discussioni e se ne vedranno gli esiti nelle future ricerche tanziesche. In primo luogo provocherà confronti accesi la presenza in mostra di due Natività, finora poco note (quella di Lille è stata esposta di recente ad Ajaccio) che dovrebbero caratterizzare una stagione giovanile del nostro pittore (a Roma più che a Napoli?). Il confronto con le altre opere di Tanzio è difficile e lascia nell'incertezza (la tela privata è però firmata): se sono opere giovanili hanno caratteri poco omogenei con il tardomanierismo romano, impregnate come sono di caravaggismo avanzato; se sono invece da collocare sul finire della stagione meridionale di Tanzio, non rivelano quel suo inconfondibile ed esasperato trattamento dell'anatomia umana che avoca spesso studi grafici su cadaveri scuoiati. Le due opere in discussione sono anzi di una delicatezza psicologica estrema e di una stesura morbida e vellutata; è difficile in primo luogo il confronto con la pala di Domodossola, che chiude la mostra, come primo dipinto di Tanzio realizzato dopo il ritorno al Nord. Giovanni Romano
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