Rafael Spregelburd è autore di testi teatrali messi in scena oramai in tutto il mondo; è attore, regista, sceneggiatore, presentatore, traduttore di Pinter, di Berkoff, di Swan, di Kane, di von Mayenburg e di altri, editorialista e calciatore (ad honorem). Ma è anche un brillante saggista, che si misura con questioni teoriche fondamentali della drammaturgia e del pensiero contemporanei. In questa raccolta (la prima in Italia), Spregelburd propone innanzi tutto domande: cosa ne è del reale, in un mondo pervaso da fiction? Dove sta, a questo punto, la pura menzogna? Perché andiamo a teatro, a vedere e sentire menzogne? Cosa è mai la politica? Se la politica ha assunto le forme dello spettacolo, quali possono essere le forme specifiche della messa in scena teatrale? Come viviamo, oggi, lo spazio e il tempo? Quale deve essere la lunghezza ottimale di un testo? Qual è mai lo spirito caratteristico dei nostri tempi? Azzardando risposte, Spregelburd avanza una serie di ipotesi, che riguardano le nozioni di apparenza, di rappresentanza, di figura e di sfondo, di ordine e caos, di complessità, di crisi, di centro e di periferia, di tradizione, di linguaggio e di ritmo. Quanto infine al mestiere del drammaturgo (o del “teatrista”, come preferisce chiamarsi), Spregelburd propone alcuni criteri, regole o procedimenti, in parte desunti da domini completamente diversi: le regole fondamentali della percezione gestaltica, le proprietà matematiche dei frattali, la dinamica delle catastrofi, le condizioni dialogiche e pragmatiche della comunicazione tra parlanti. Ne emerge un quadro vivissimo della condizione culturale e artistica di una capitale “periferica” come Buenos Aires, che tende però ad assomigliare sempre di più alle capitali del nostro “centro” europeo; oppure, meglio, alla precarietà, all’incertezza e alla mobilità che contraddistingue senza distinzione la condizione contemporanea, così globale, così esposta a catastrofi.
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