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Una bella cronaca sul famosissimo concerto che divenne emblema di un momento storico particolare del '900. I due autori dapprima raccontano il contesto storico-culturale in cui maturò l'evento sul finire degli anni '60 e poi si concentrano sul resoconto di quei tre giorni, elencando i fatti più salienti e gli artisti che vi presero parte. Un libro molto interessante per far sì che chi come me non era ancora nato possa saperne di più su cosa accadde nell'agosto del 1969 sull'erba di Bethel.
Un racconto di taglio giornalistico, anche appassionante, anche ben strutturato nella sua rievocazione di un mito. Ma a quarant'anni di distanza sarebbe giunto il momento di ricerche storiche meglio documentate e meno mitologiche.
Ernesto Assante e Gino Castaldo hanno scritto per Laterza “Il tempo di Woodstock”. Ho grande stima dei due. Fanno parte di una generazione che ha cancellato lo stereotipo per cui i giornalisti musicali sono in qualche modo giornalisti di serie B. Basta leggere l’Ode in morte della musica di Castaldo (scrive di musica e filosofia come Sgalambro, solo che è comprensibile…) per rendersene conto. Questo volume è un bel viaggio nel tempo e nei luoghi di Woodstock. Gustosa è la sezione dedicata al racconto vivo di quei giorni, dove tutta una serie di fattori combinarono in maniera casuale (ma non troppo) affinchè quel concerto diventasse leggendario per l’intero pianeta. Oltre la cronaca, c’è il racconto, veloce, preciso, appassionato di una controcultura, di una visione che fu di tutta una generazione. Woodstock è un evento unico nel suo genere perché fu la Polaroid di quella generazione, tutta, con i suoi difetti nella messa a fuoco e nella nitidezza dei colori. Ma è stata l’unica volta, nella storia del mondo, che una generazione si raccontasse in presa diretta.
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