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Anno edizione: 2010
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Il ritratto di Bonhoeffer, che Affinati ci consegna in questo libro, potrebbe in un certo senso considerarsi un autoritratto. Era in qualche modo fatale che l'autore di un libro importante come Campo del sangue (Mondadori, 1998) - raro, se non unico esempio in Italia, di scrittura narrativa su Auschwitz -, dovesse imbattersi, prima o poi, nell'opera di uno dei massimi teologi del Novecento: personalizzazione degli eventi, contrapposizione al razzismo, liberazione interiore, unità di pensiero e azione, resistenza etica contro il decadimento dei costumi contemporanei sono temi forti, direi costitutivi per la personalità di Affinati insegnante, prima che narratore. In qualche modo questa biografia raccontata aiuta a decifrare meglio il libro del 1998.
Affinati ci restituisce con molto garbo l'intero percorso biografico di Bonhoeffer, dall'infanzia all'opposizione al nazismo, alla prigionia, infine alla morte per impiccagione nel campo di Flossenburg. Pur all'interno di una narrazione che vuole essere piana e divulgativa non mancano riferimenti sottili e finissimi sulle letture giovanili del pastore evangelico - Cervantes, Nietzsche, Barth - incrociate con le proprie (per esempio Stirner). Su Dostoevskij c'è una pagina molto illuminante, che trae spunto da un pensiero di Resistenza e resa, là dove Bonhoeffer riferisce le sue impressioni di lettura su un testo che si può considerare archetipico di ogni letteratura concentrazionaria, un modello anche per Se questo è un uomo di Primo Levi, vale a dire le Memorie da una casa di morti, la cui influenza sulla letteratura del Lager è stata troppo a lungo sottovalutata. A Bonhoeffer, non meno che a Levi, la "casa dei morti" dello scrittore russo insegna che "nessun uomo può vivere senza speranza". Tuttavia mentre il Levi dell'esordio batte l'accento sulla speranza che nonostante tutto sopravvive durante la privazione, Bonhoeffer si chiede, e con lui Affinati, se speranza non sia uguale a illusione.
Forse nel libro si calca un po' troppo la mano nella rappresentazione di una giovinezza on the road, di un Bonhoeffer antesignano dei trampers o dei folksingers, in stile Woody Guthrie, un profilo poco verosimile sul piano della documentazione esistente, benche funzionale al fine di una possibile trasposizione didattica di questo originale percorso di ricerca. Affinati scrive e pensa da insegnante, le sue pagine tengono sempre aperto uno sguardo sano e disincantato sul mondo della scuola. È una delle virtù che caratterizzano il suo stile. È un insegnante che ama la solitudine e i viaggi all'interno di se stesso, ma conserva ben chiara l'idea fondamentale del gruppo scolastico, del non limitarsi a fare lezione, dell'offrirsi come modello umano. Osserva i giovani sulla metropolitana tedesca pensando ai suoi allievi, ne contempla i draghi tatuati sui bicipiti e riflette sulle possibilità della trasmissione del ricordo da una generazione all'altra. Bonhoeffer si presenta ai suoi occhi come il modello di una scrittura di viaggio frammentaria, intimistica, diaristico-epistolare, congruente alla lezione di questo ormai non più segreto maestro di vita. Chi parte abbandona la propria casa per trovare conferma di ciò che sa già, è uno che torna indietro.
Inframmezzati da digressioni mai inutili sul paesaggio urbano odierno, dall'America alla Roma delle periferie degradate, i frammenti della memoria di Affinati riprendono Bonhoeffer nelle massime di più agevole traducibilità nel linguaggio giovanile: sull'amicizia, sulle confessioni religiose che non dovrebbero essere confuse con le farmacie, sui donchisciotte umili che stemperano la punta della sciabola o in nome della fede la rimettono nel fodero, sulla resistenza e sul destino: Das Schicksal, in tedesco, per fortuna neutro, né maschile, né femminile, "né padre, né madre".
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