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Anno edizione: 2017
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ESCOBAR, ROBERTO, Totò
DE CURTIS, LILIANA (A CURA DI) / AMOROSI, MATILDE (A CURA DI), Totò, veniamo noi con questa mia... Lettere a Totò che angeli si nasce e lui lo nacque
recensione di Marangi, M., L'Indice 1998, n. 8
Cento anni fa nasceva Totò. Meglio, nasceva Antonio Clemente, figlio di Anna, nubile. Fin dall'inizio la vita sembra riservare un destino da commedia per il futuro principe Antonio de Curtis, di nobili ascendenze ma non riconosciuto dal padre, il marchese Giuseppe de Curtis. Questa duplicità diventa per Roberto Escobar la chiave di lettura privilegiata per analizzare il percorso artistico di Totò, in un libro che sa unire la competenza critica alla passione dello spettatore.
Emerge un personaggio complesso, in cui gli opposti non solo convivono, ma ne segnano l'unicità e lo rendono tra gli artisti italiani più amati e popolari in assoluto, capace di far ridere estremizzando situazioni della vita reale o facendo esplodere in modo paradossale le contraddizioni e le sperequazioni quotidiane.
Costretto a confrontarsi con le necessità di una vita non agiata per oltre vent'anni, ma contemporaneamente esaltato dal palcoscenico naturale che è il Rione Sanità di Napoli in cui muove i suoi primi passi, il futuro Totò appare capace di reagire con l'ironia e l'imprevedibilità agli scherzi degli amici, alle difficoltà scolastiche, alle limitazioni economiche.
La sua comicità esplosiva, fisica prima ancora che mentale ("Non sono mai stato un umorista, ma un comico", ci teneva a precisare), non appare mai scissa da una profonda consapevolezza delle difficoltà della vita, ora sbeffeggiate, ora contemplate con una vena di mestizia, ora affrontate con una carica anarchica che non lascia scampo: per Escobar, "Totò va a cercarle nel profondo le risate del suo pubblico, dove semmai può capitare di incontrare quel secondo volto del comico che è il tragico".
Lo strumento privilegiato per sovvertire ogni ordine costituito e per far esplodere la sua potenzialità comica è innanzitutto il corpo: la leggendaria capacità di disarticolare ogni suo arto, testimoniata dalle performance di marionetta folle che appaiono in molti suoi film, e la grande capacità di utilizzare una faccia unica, che vive di asimmetrie e sembra di per sé sufficiente a scatenare la risata, che Fellini definì "una testa di creta caduta in terra dal trespolo e rimessa insieme frettolosamente prima che lo scultore rientri e se ne accorga".
La stessa faccia che diverte milioni di persone è però vissuta in altro modo dal suo proprietario, per il quale "la mia faccia non ha altra tristezza che quella di un mento allungato, di un naso torto e della vita, che non è triste ma nemmeno allegra". Di nuovo emerge una profonda schizofrenia, che Escobar ripropone spesso: quella tra il personaggio Totò e la persona Antonio de Curtis. Abituato fin da piccino a giocare con la sua faccia, restando ore a fare le smorfie di fronte allo specchio, Antonio la trasforma in una maschera inimitabile sul palcoscenico e davanti alla macchina da presa, ma cerca di celarla, di mimetizzarla nella vita privata. Nel libro emerge la distanza tra i modi discreti ed elegantemente aristocratici di Antonio e la carica incontrollabile di Totò, anche se il gioco delle parti spesso propone strani rimandi: il principe veste di grigio, non ama il baccano, il sole, e nei suoi appartamenti lussuosi riserva metaforicamente solo un posto in cucina alla sua creatura, costretta a mangiare di corsa e male in arnese. Ma la maschera si prende la sua rivincita sbeffeggiando ogni tipo di potente con cui viene a contatto, siano onorevoli, aristocratici, giudici o guardie, distruggendo la loro vanagloria fatta di frasi pompose con la sua capacità dialettica, che si traduce linguisticamente in un discorso apparentemente sconnesso, ma che in realtà trova nel ritmo il vero senso, l'unica armonia, in un'operazione a un tempo surreale ed eversiva.
Maschera imprendibile che si beffa di ogni logica, volto unico che riflette sulle difficoltà della vita scatenando risate immediate, Totò riesce a trasfigurare Antonio senza peraltro poter cancellarne la vena di malinconia e la consapevolezza di non aver potuto essere completamente se stesso, ben sintetizzata in una sua frase: "Sarei potuto diventare un grande attore e invece di cento e più film che ho girato ve ne sono degni non più di cinque".
Se i critici spesso lo hanno sottovalutato, Totò ha sempre avuto dalla sua il pubblico, che continua ad amarlo visceralmente. Lo testimonia il libro curato dalla figlia Liliana e da Matilde Amorosi, che propone una scelta tra le migliaia di lettere e messaggi regolarmente lasciati sulla sua tomba o indirizzati a "Totò, Cimitero, Napoli". Dietro l'apparente assurdità del fenomeno emerge la vera statura di Totò e il suo rapporto privilegiato con il pubblico, che gli ha sempre riconosciuto la capacità di utilizzare il paradosso per parlare della vita, la risata per affrontare i piccoli e grandi drammi quotidiani.
Il libro si legge piacevolmente, ma il suo pregio maggiore è forse quello di rispecchiare molte storie di vita di personaggi comuni, in cui si intrecciano gioia e tristezza, paure e tenerezza, comicità e difficoltà del quotidiano.
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