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Grandissimo libro, sotto ogni punti di vista, personalmente lo considero uno di quei libri che dovrebbero far leggere nelle scuole. Si tratta di una lettera al figlio 15enne in cui l'autore cerca di spiegare se stesso ed il suo rapporto con il mondo, in modo fa offrigli degli spunti su come affrontare il suo futuro. L’autore, apprezzato giornalista, autore di importanti saggi, fumetti (Black panther, Captain America) e romanzi, parte dalla sua esperienza di vita come nero americano per evidenziare come ancora oggi la condizione degli afroamericani negli states sia quelli di cittadini discriminati. La cosa più triste è che se uno legge i libri scritti 50 anni fa dagli autori di colore che affrontano tali argomenti, troverà più o meno gli stessi discorsi. Coates fa però un ulteriore passo avanti andando oltre al puro concetto di discriminazione razziale, per ampliare la sua analisi in quadro più generale della storia umana, dove si evidenzia come ogni “impero” sia basato sullo sfruttamento di "classi inferiori", arbitrariamente definite dai vertici della società. Un libro che può aiutare a capire come evolversi verso una società più equa. Lettura consigliatissima.
E' un libro che chiunque dovrebbe leggere,, in questo momento storico in cui l'alternanza tra favorire l'integrazione razziale e l'esplosione del razzismo è sempre più sottile e pericoloso. una prosa dura ma estremamente efficace e soprattutto vera. da non perdere
Recensioni
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Scritta in forma di lettera al figlio adolescente, Tra me e il mondo è l’assunzione di responsabilità da parte di un padre che rifiuta di edulcorare la realtà della precarietà del corpo nero, ma allo stesso tempo vuole offrire al figlio strumenti per comprendere e lottare contro lo spossessamento di sé. Davanti alla sua disperazione per l’assoluzione di Darren Wilson, il poliziotto che ha ucciso Michael Brown a Ferguson nel 2014, Coates non offre parole di speranza nel futuro o la consolazione del passato glorioso delle lotte degli anni sessanta, ma un vademecum alla sopravvivenza in un paese che «si è esercitato fin dall’infanzia alla depredazione della vita dei neri». Lo fa raccontando al figlio come la scoperta della vulnerabilità del corpo nero ha inciso sulla sua identità di maschio afroamericano, ricapitolando le fasi che lo hanno portato, come altri uomini della sua generazione, dalla percezione della blackness come prigione, alla glorificazione afrocentrica del corpo nero, alla consapevolezza che la pelle nera non è in sé un segno identitario trasparente: «Non c’era niente di sacro o di particolare nella mia pelle; ero nero a causa della storia e della mia eredità».
Coates racconta dell’infanzia nel ghetto nero di Baltimora, dove ha imparato i codici di comportamento per mantenersi vivo, e di come la perdita del controllo sul corpo generi paura e violenza. Ricorda la disillusione nei confronti della scuola, la fascinazione per l’opposizione dura delle Black Panthers, di Malcolm X e del nazionalismo nero. Racconta il graduale passaggio dall’essenzialismo a una nozione politica, storica e culturale dell’identità nera(…). E quindi la realizzazione che l’apparente omogeneità del mondo nero è in realtà attraversata da variabili – di genere, classe, preferenza sessuale, generazione – che interagiscono con l’esperienza vissuta del corpo nero. (…).
La storia di Prince Jones, brillante studente di Howard ucciso da un poliziotto nel 2000, incarna l’estrema vulnerabilità del corpo nero: non basta essere belli, eleganti, intelligenti, «a posto» per proteggere la propria esistenza, a morire per mano di poliziotti vittime del Sogno non sono soltanto i neri del ghetto. Ma è anche la fonte inaspettata di una visione meno disperata, nella figura della madre di Prince che l’autore incontra nella parte finale del testo, che si conclude con l’esortazione al figlio a lottare.
Recensione di Anna Scacchi
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