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Un saggio meraviglioso che rileggo oggi dopo quasi 20 anni, mi riporta ai tempi dell'Università e all'esame di drammaturgia. Imprescindibile per un'autentica comprensione di Beckett.
Recensioni
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recensioni di Ruffini, F. L'Indice del 2000, n. 07
Aspettando Godot andò in scena il 3 gennaio 1953 al Théâtre de Babylone, a Parigi, con la regia di Roger Blin. Si sa che Beckett aveva proposto a Blin anche un'altra commedia in tre atti, scritta contemporaneamente, Eleutheria. Anzi, all'inizio Blin era orientato a preferirla: in Godot non ci sono parti femminili, il che è poco teatrale. Poi ripiegò su Aspettando Godot, dato che vi compaiono solo cinque personaggi, contro i diciassette di Eleutheria, e le esigenze di costumi e scenografia sono davvero modeste. Roger Blin era povero, e a decidere le scelte del teatro - anche quelle che segnano svolte epocali - sono spesso questioni di soldi. Comunque, anche volendo, Blin non avrebbe potuto rappresentare Eleutheria, perché nel frattempo Beckett l'aveva ritirata dalla scena, e anche dalla stampa. Nel destinarla al cassetto (ma inutilmente: la commedia è stata pubblicata postuma, nel 1995), vi scrisse sopra "Prima di Godot".
Non si può non sentire nel titolo Aspettando Godot la doppia indicazione: interna al testo, riferita a Didi e Gogo in attesa del "personaggio Godot"; ma anche esterna, riferita allo stesso Beckett in attesa dell'"opera Godot".
Anna Maria Cascetta adotta la prima prospettiva, dentro il testo (i testi, in generale), e lo fa in modo perentorio e totale. Io mi propongo di gettare uno sguardo nell'altra prospettiva, e di trarne qualche conseguenza. Non prima di aver illustrato il libro che me ne offre l'occasione.
Si tratta di uno studio importante, che prende in esame tutti i testi drammatici di Beckett. Dopo Aspettando Godot, seguono Finale di partita, L'ultimo nastro di Krapp e Giorni felici. Poi gli Atti senza parole e gli "Shorter Plays", da Commedia [Play] a Quella volta [That Time] a Quad. La seconda parte del volume, introdotta da una postfazione di Stanley E. Gontarski, propone un documentato capitolo sulla fortuna scenica di Beckett in Italia, un'appendice iconografica non ristretta alle foto di scena, un'accurata teatrografia, divisa nei vari generi frequentati da Beckett, dalla radio alla televisione al cinema. Della premessa metodologica ho già detto.
La tesi sostenuta dalla Cascetta è che l'opera di Beckett non può essere costretta dentro la dimensione tragica, ma include anche l'umorismo, come contrappeso, e a volte sovrappeso, del tragico. Dentro i riferimenti dati della ricerca, l'autrice si muove con sicura competenza, e con rigore logico. Con sotto il basso continuo di una partecipata chiave di lettura: che è la presenza del divino, non solo per ciò che Beckett ne lascia trasparire in citazioni, ma di più, quasi per una spinta segreta, nascosta perfino all'autore, in mano a un disegno superiore che lo porta anche lui uomo tra gli uomini e gli dà voce. Sono davvero note appassionate, quelle che la Cascetta riserva a questa vena del suo studio.
I testi di Beckett vengono scandagliati parola per parola, per ciò che di tragico e comico contengono e implicano, scoprendo rimandi eruditi e contesti pertinenti, anche se a volte sovradimensionati, come nel caso di Decroux per Atti senza parole. L'imponente bibliografia è un ulteriore elemento che fa del libro di Annamaria Cascetta un riferimento d'obbligo per studiare i testi di Beckett a partire da Aspettando Godot.
Il "prima di Godot" veniva da molto lontano. Nel 1931 Beckett aveva scritto per il Trinity College, del quale era stato allievo, un burlesque in francese dal titolo Le Kid, in cui, ammiccando anche al film di Chaplin, parodiava Le Cid di Corneille.
Tre secoli prima, la tragedia di Corneille era stata l'occasione per una delle più aspre polemiche della storia del teatro. L'"istituzione", con a capo Richelieu, aveva imputato a Corneille di infrangere le unità aristoteliche di tempo, luogo e azione, e di peccare contro la verosimiglianza: di fatto, contro la "giustizia eroica", che vuole gli eroi al di fuori dei sentimenti umani. Dovettero passare più di vent'anni prima che Corneille riuscisse ad aver ragione delle accuse, rivendicando l'uomo prima dell'eroe, e dimostrando che le unità aristoteliche sono solo strumenti per la vera unità drammaturgica, che è l'unità di attenzione. Il testo di Le Kid è andato perduto ma, da quel che ne sappiamo, Beckett vi aveva incorporato, ben oltre le vicende del Cid, soprattutto quel "processo" che era stata la querelle del Cid.
La battaglia contro la tradizione del teatro continuò con Eleutheria. Una commedia veramente singolare, nella quale per i primi due atti si confrontano la famiglia Krap col suo entourage e il figlio Victor, un Gogo ante litteram, che si lascia vivere in una misera stanzetta, scenograficamente a fianco del salotto buono di casa Krap. All'inizio dell'ultimo atto, il salotto sprofonda nella fossa d'orchestra; uno spettatore piomba in scena, e con l'aiuto di un torturatore cinese celebra un vero processo: a Victor, per fargli confessare il suo progetto di non vita; e a un portaparola di Beckett, per costringerlo a spiegare che sorta di teatro si stia rappresentando.
Aspettando Godot, Beckett aveva cercato l'antieroe e il rovesciamento delle convenzioni facendo metateatro. Con Aspettando Godot trovò che, come ogni altra cosa in scena, anche le polemiche devono essere realizzate, non basta enunciarle. Di sicuro ne aveva avuto il presagio, con quel salotto fatto crollare letteralmente, per realizzare la metafora del teatro tradizionale in rovina.
Difficile comprendere la rottura di Godot, se se ne cancella la continuità con il prima. Prima di Godot: manifesti per un nuovo teatro. Con Godot: direttamente il nuovo teatro degli antieroi Didi e Gogo, dove l'unità di attenzione è portata solo e tutta dall'intransigente precisione delle loro azioni.
Si parla spesso di Aspettando Godot come di una pièce in cui non ci sono azioni ma solo inconsistente conversazione. E certo, le azioni dei protagonisti non sono grandi. Però sono assolutamente precise. Già nel testo, incidono il loro diagramma dinamico come in un ralenti della muscolatura del cosmo. Sfidano l'attore che dovrà compierle in scena a non dissipare niente di quella precisione in astrusi simbolismi o in pantomime narrative o in manierismi o in citazioni di genere, o in richieste di complicità.
Altro che metateatro! È teatro allo stato puro, quello che Beckett aveva trovato con Aspettando Godot. Non è facile immaginare un attore capace di guardare in una scarpa, semplicemente: ma come se la sua azione esprimesse una millimetrica legge della natura, e non i vaghi accidenti - persona e psiche - di un vagabondo. Perché, alla resa dei conti, la sfida posta da Beckett consiste proprio nell'annullamento della rappresentazione, in favore della pura presenza.
Qui sta il paradosso, che laddove raccontiamo di spettacolo, lì non c'è il teatro di Beckett; e laddove indichiamo il teatro di Beckett, non c'è più spettacolo. Niente racconto, niente personaggi; e parole che non stanno lì per conversare ma per contendere ad azioni assolute l'attenzione dello spettatore. Un alternarsi organico di danza pura su fondo di silenzio, e di visioni mentali su fondo di poesia: questo sarebbe lo spettacolo di Beckett, se mai si potesse tradurre in scena il teatro di Beckett.
Si può assumere una prospettiva tutta interna ai testi, e lasciar da parte l'"attesa" di Beckett con quel che ne consegue. Ma allora le parole si fanno solo dialogo o citazione. Parlano con l'altro o riportano dal mondo. Libri, memorie, opere, meditazioni. Poi, un po' di chiacchiera a passar tempo, carote scarpe e suicidi tanto per levarsi il pensiero. Dissolvenza, e di nuovo messaggi dal mondo... E se ci pentissimo? Di cosa? Di essere nati?
Che voglia di citare e citarci da quei grandi testi!
Uno spettacolo squisito. Dov'è il teatro di Beckett?
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