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Nella notte di Natale, di un anno imprecisato e in una città non chiaramente identificata, un tram percorre le strade semibuie, come suo solito. Il tram raccoglie a ogni fermata i passeggeri, che costituiscono un mix ben variegato di etnie e di storie personali: è il popolo dei lavoratori sfiniti e degli emarginati. Tutti, chiusi nel proprio mondo interiore, ricordano, riflettono sulle proprie esistenze, sono amareggiati e sconfitti. Poi, a uno a uno, sono attirati da un rumore che arriva dal fondo del tram e contemplano annichiliti lo spettacolo insolito, non sanno cosa fare di preciso, sanno solo che devono coalizzarsi ed evitare il male...mentre il tram continua il suo infinito percorso. Si tratta di una sorta di fiaba moderna, con personaggi attuali e vividi. Ma è una lettura insolita, perché predispone il lettore alla malinconia!
Una tenera e delicata storia non convenzionale sulla notte di Natale. In un tram si raccolgono gli ultimi tra gli ultimi che, per caso, incontrandosi, trascorreranno la notte Santa insieme. È una storia di dolore, di profonda miseria e compassione, come se tutte le brutture del mondo fossero convogliare in quel piccolo tram. Non si può non essere partecipi di queste povere anime che sia arrabattano per tentare di sopravvivere in un mondo che non li vuole. La solitudine affiora parola dopo parola e fa sentire ancora più soli i nostri sei personaggi. Lo stile dell'autore è semplice ma sa toccare le corde giuste e fa comprendere quanta disperazione possa esistere al di fuori di noi.
Un racconto di Natale diverso in cui emerge il dolore e la disperazione di tante categorie di persone, bianchi, neri, anziani, donne e ragazzi... Nel viaggio di un tram verso la periferia, in una notte di Natale, un bambino raccoglie i torno a sé il dolore, la compassione e la speranza di una nuova vita.
Recensioni
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Il bambinello? Un trovatello abbandonato da una mamma disperata, quasi certamente straniera. La mangiatoia? Un mezzo del trasporto pubblico, il tram numero 14, «una stella cometa» che nel rapido epilogo prosegue la sua corsa fantasticamente. Betlemme? Una metropoli, con tanti comprimari, disperati, chini sul proprio destino, accartocciati in pensieri e situazioni difficili.
A poco più di un anno e mezzo dalla pubblicazione di «Borgo Vecchio», Giosué Calaciura torna in libreria con Il tram di Natale (107 pagine, 10 euro), edito da Sellerio. In qualche modo lo scrittore palermitano regala una specie di instant book natalizio, una strenna che però non sbrilluccica, non sprigiona allegria, non fa ricorso all’immaginario commerciale delle festività di fine anno, tutt’altro; è un racconto che si nutre piuttosto di oscurità, ambientato com’è in un tram che si muove nella «periferia della periferia, dove Dio si rifiutava di guardare, dove neanche per sbaglio si era mai addentrato».
Sul tram, nella sera che precede il Natale, si trovano uomini e donne ai margini, dal punto di vista sociale, ma soprattutto umano: dal venditore di ombrelli a Filippo, il cameriere filippino che ha da poco finito di servire al cenone natalizio, da una coppia improbabile – quella formata da una prostituta nera e dal suo accompagnatore dall’aspetto giovanile, gonfio di liquidi, dai capelli tinti, vedovo che non sa «rinunciare alla finzione dell’amore» – a William, giovane migrante, orfano di una guerra civile. Per tutti è una vigilia da groppo in gola, un momento di passaggio, e quel bimbetto lasciato sul sedile, novello Gesù, «era un fremito di vitalità che inchiodava ciascuno al proprio smarrimento».
Smarrimento che aumenta quando sul tram salgono due Volontari della Patria, fascistelli violenti con uno scarabeo (con panzane tipo questa che spiegano la simbologia: «… gli antichi egizi lo mettevano sulle mummie per fare rinascere i morti. Noi faremo rinascere la purezza della stirpe contro ogni tentativo di annacquare il nostro sangue imperiale») sulla spilla. Tutti i passeggeri del tram faranno in qualche modo i conti con quella vita appena nata, in un crescendo orchestrato senza strappi, ma con una certa grazia.
Questa strana, laica e indifesa Natività (di cui fanno pare anche un malandato ex mago alle prese con l’Alzheimer e un’infermiera che s’interroga sull’ingiustizia della vita e della morte) messa in scena da Calaciura fa cadere i veli su certi mali ineludibili della nostra contemporaneità; ancora una volta lo scrittore palermitano – coerentemente con la sua poetica e con molti dei lavori precedenti – punta i riflettori sulla marginalità dei più deboli, sulla lotta per la sopravvivenza degli indigenti, di chi è solo, straniero o malato, ma ancor più sui deserti di certe anime, di chi apparentemente non fa i conti con nessun guaio, con problemi di natura economica o sociale. E, a suo modo, regala un filo di speranza, col dispiegarsi finale di una sorta di piccolo miracolo…
Recensione di Salvatore Lo Iacono
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