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L'autore riesce a penetrare il fenomeno della possessione e dei rituali in molte delle loro sfaccettature,riesce ad evidenziare aspetti impensabili,se ci si limita a considerare la possessione dal semplicistico e pregiudizioso punto di vista mistico.Il professore scavalca ogni pregiudizio,ogni scetticismo che l'aspetto mistico-religioso,solitamente attribuito dal punto di vista occidentale, alla possessione induce ad assumere.Ci fa entrare nei misteriosi meandri del fenomeno,chiarendo molti dei suoi aspetti nascosti ed eliminando ogni pregiudizio.Un libro da leggere,ricco di esempi, con poche ma efficaci immagini a colori,che ci fa entrare nel diretto punto di vista degli attori di tali rituali,ed è quest'ultima la prerogativa essenziale per poter studiare il fenomeno della possessione nella sua profondità.L'autore riesce in ogni intento.
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Con una scrittura appassionata, Roberto Beneduce, psichiatra e antropologo, introduce i suoi lettori nell'Africa della trance e della possessione, un campo di studi affascinante e inafferrabile che ha esercitato un fascino su generazioni di studiosi. Fin dalle prime pagine, l'autore sottolinea la necessità di evitare le strettoie di uno sguardo esclusivamente clinico, che voglia rappresentare questi fenomeni come disturbi psichiatrici, offuscati da un codice culturale non condiviso dai saperi occidentali; ma altrettanto limitativo è pensarli soltanto come manifestazioni culturali, modi con cui le società africane hanno affrontato il problema della morte, della sventura e del contatto con l'alterità. Nel primo caso, si perdono di vista le relazioni fra la possessione e il contesto storico e culturale in cui essa è agita; nel secondo, finisce per essere dimenticata l'esperienza del posseduto, la sua storia di sofferenza e di difficoltà, il suo rapporto con un insieme di sintomi e di manifestazioni corporee che ella/egli legge in modo ambivalente, ora come una condanna ora come segno di un destino particolare che in qualche modo deve riuscire a governare.
Roberto Beneduce crea un vivace dialogo fra queste prospettive, con l'intenzione di costruire un'antropologia dei posseduti, attenta alle loro soggettività, e in grado di considerare la possessione come fenomeno culturale denso e stratificato, che intrattiene legami importanti e significativi con le rappresentazioni del corpo e della persona tipiche dei contesti entro cui i culti hanno avuto origine ed entro cui sono agiti. Poiché nella storia le società cambiano - o accade che gli individui percorrano una loro strada, che li allontana nella migrazione dall'insieme dei loro rapporti affettivi e familiari - anche le vicende dei posseduti mutano di segno: difficoltà che nella cultura d'origine potrebbero essere risolte aderendo a un culto, nella lontananza si trasformano "in un disturbo 'cronico' e resistente alle terapie, nel silenzio di un monologo interiore fatto di silenzi e angosce". Nella soggettività individuale, l'esperienza del corpo come dominato da un'entità altra diviene dunque un linguaggio per ricordare, un modo per trasportare e ricostituire frammenti dell'identità personale attraverso i confini fra culture, un aspetto che l'autore affronta traendo spunto dall'attività clinica svolta presso il Centro Fanon di assistenza agli immigrati, da lui stesso fondato a Torino.
La possessione, tuttavia, è mnemotecnica anche sul piano collettivo, poiché parla, in modo talvolta criptico e ambiguo, dei contatti violenti e degli scontri fra società: laddove un gruppo è dominato da un altro, l'espressione di sentimenti di ribellione o resistenza torna sulla scena pubblica, quando i corpi dei posseduti - nel tempo e nello spazio circoscritto del rituale - si trasformano in una forma di ricordo, un modo per evocare una lunga storia di rapporti traumatici e dolorosi. In questa prospettiva, allora, ciò che l'africanistica in modo spesso un po' arbitrario ha classificato sotto la categoria di "culto di possessione", diviene una raffinata strategia per trasportare il passato nel presente, un discorso non solo religioso ma anche politico, che vede comunità e soggetti impegnati a dare un senso alla propria storia.
Un libro sicuramente da leggere per riportare l'Africa nella nostra quotidianità, e per vedere nella trance e nella possessione uno dei punti di contatto fra le società africane e il mondo esterno, fra l'esperienza culturalmente collocata del male e della malattia e i processi di dislocazione - di beni, persone, oggetti e significati - che segnano l'epoca contemporanea.
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