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L'autore ci ripropone, in chiave romanzata, l'ultima notte del leader libico, ormai asserragliato in una scuola di Sirte, sua città natale, attorniato dai suoi ultimi fedelissimi, circondato in terra dai ribelli e braccato dall'aria dalle incursioni Nato. Facendo leva sul confine sottile che spesso separa sogno e realtà, attingendo a ricordi dell'infanzia e agli incubi delle ultime ore che scorrono, si dipanano gli ultimi pensieri e le ultime azioni del Rais, raccontati in prima persona. Ne risulta un libro venato di poesia e, allo stesso tempo, intriso dell'arroganza di un uomo destituito in maniera brutale, forse eccessivamente brutale, che si interroga, solo all'ultimo, su cosa di sbagliato possa aver fatto, perché il suo popolo lo abbia tradito, e soltanto in questo suo interrogarsi il personaggio si riscopre umano, forse troppo umano, nella sua amara solitudine, ma ormai è già tardi, che la Storia ha già segnato inevitabilmente il suo passo, voltandogli, anche lei, le spalle.
Il libro è un capolavoro. Un romanzo di pertinenza militare e culturale. L'autore algerino è infatti ex membro dell'esercito del suo paese. Definire il ritratto di un uomo, un padre padrone, attraverso i ricordi delle ultime ore di vita, affioranti in una cornice di guerra redatta con vivida poetica, è riuscito benissimo a khadra. Un uomo ostaggio della storia e dello stesso personaggio che ha dovuto edificare per segnarla, la storia. Un profilo psicologico comune della figura dittatoriale che in questo senso fa riflettere e conduce a parallelismi storici con altre figure sebbene di opposti segni e colori. Dal mio punto di vista imperdibile, è uno di quei libri, anche in virtù della sapiente e relativa brevità, per i quali ogni scampolo di tempo viene dedicato alla sua lettura. Personalmente l'ho letto due volte per non perdermi nulla.
Ho letto molto di meglio. Dopo il grande ritorno al noir di Khadra, con Ma che aspettano le scimmie a diventare uomini, mi aspettavo quqlcosa di più. Leggibile, ma non capisco cosa vorrebbe trasmettere.
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