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Anno edizione: 2021
Anno edizione: 2021
Premio nazionale letterario di saggistica femminile Giuditta. Miglior saggio esordiente
Con un approccio inedito e un linguaggio fresco e «social», Nadeesha Uyangoda apre in questo libro, che incrocia saggio e memoir, un'onesta conversazione per comprendere meglio la dinamica razziale nel nostro paese.
«"Nadeesha" significa fiume, ma anche dea del fiume. E così si chiama un corso d’acqua che sfocia nel fiume indiano Yamuna. Quest’ultimo è il nome di mia madre. Purtroppo assistiamo a una tendenza a europeizzare, a sbiancare i nomi a cui non siamo abituati. Ma il nome fa parte dell’identità, è importante mantenerlo.» – Nadeesha Uyangoda, intervista a La Lettura - Il Corriere della Sera
La razza è un concetto difficile da cogliere, pur non avendo fondamenti biologici produce grossi effetti nei rapporti sociali, professionali e sentimentali. La razza in Italia non si palesa fino a quando tu non sei l'unica persona nera in una stanza di bianchi. E quell'unica persona è Bellamy, Mike, Blessy, David... una moltitudine in parte sommersa, sotterranea. Quell'unica persona è chi si è sentito dire troppe volte che «gli italiani neri non esistono»: lo gridano negli stadi, lo dice certa politica, sembrano confermarlo le serie tv, la letteratura, i media. In un certo senso è persino vero: gli italiani neri non emergono, non si vedono negli ambienti della cultura, nei talk show e nelle liste elettorali. O meglio, in quei luoghi esistono ma solo come oggetto del discorso, quasi mai come soggetto. La loro presenza è ridotta alla riforma della cittadinanza, ai casi di razzismo, all'«immigrazione fuori controllo», ai barconi, all'«integrazione».
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Il saggio è ben documentato e presenta argomenti calzanti e non scontati, con riferimenti alla realtà internazionale. Dall'altra parte mi ha lasciata non del tutto convinta il disordine con cui procedono i temi presentati e una prospettiva molto personale di tante problematiche, a partire dalla concezione delle "microaggressioni" che sarebbero testimonianza di razzismo inconsapevole.
Libro molto bello, offre diversi spunti interessanti. Ma vorrei sottolineare la bellezza della scrittura di Uyangoda, veramente molto vivida. Mi auguro in futuro si dedichi anche ad un romanzo. Complimenti
Un libro necessario. Tutti dovrebbero leggerlo perché l’autrice espone il suo punto di vista che, a mio parere, dovrebbe diventare in punto di vista di tutti. L’Italia ha bisogno di scrittrici come lei che senza mezzi termini centra perfettamente in cuore del problema. Assolutamente consigliato!
Recensioni
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Nera italiana. Nadeesha Uyangoda ha quasi trent’anni, ma ne ha vissuti più di venti in Lombardia, dove è approdata a sei anni, per raggiungere la madre dallo Sri Lanka, sua terra d’origine. Giornalista freelance con tante collaborazioni prestigiose, Uyangoda aveva scritto un lungo articolo che ha via via cambiato pelle, diventando un intenso (pieno di idee e di riferimenti bibliografici) saggio e memoir, L’unica persona nera nella stanza (173 pagine, 15 euro), pubblicato dalla casa editrice 66thand2nd. Ci ha visto lungo Alessandro Gazoia, a lungo editor per 66than2nd e minimum fax, e adesso approdato a nottetempo, come direttore editoriale.
La ragazzina che si arrampicava scalza sui tetti, immagine con cui si apre questo libro autobiografico, è diventata una donna audace e consapevole, che ragiona sulla scomodità e sulla difficoltà di essere l’unica persona nera nella stanza, e sui pochi neri che, in Italia, riescono a farsi largo nel dibattito pubblico, al di là di quando vengono interpellati per parlare di discriminazioni e razzismo: più difficile emergere in altri campi (nelle professioni, nell’industria culturale, ancor più nei luoghi di potere), tranne forse che nell’ambito musicale. La ragazzina, pesantemente apostrofata su un pullman per andare a Monza, a scuola, e che avrebbe reagito con aplomb a future discriminazioni, adesso ha idee chiarissime e sono belle idee, e obiettivi concreti, ad esempio: «… sottrarre al razzista, più o meno consapevole, la sua principale argomentazione: la convinzione che un nero non potesse essere italiano».
La lotta è giornaliera, ma non ci si illuda davanti a catene virtuose e a slogan via social network, ammonisce nelle sue pagine Uyangoda. L’indignazione estemporanea, senza una critica condivisa, può essere fiamma che brucia in fretta, «Migliaia di like, condivisioni e commenti a farci credere che le cose potrebbero cambiare, che già sta succedendo, per poi restare, in realtà, esattamente come sono […] le campagne di indignazione di massa a lungo andare ci anestetizzano al problema». E non ci si illuda davanti a certe narrazioni che sono caratterizzate solo da tokenism, l’altra faccia delle quote razziali, «figlia del politically correct americano».
In modo disarmante Nadeesha Uyangoda mette in guardia da pericoli quotidiani. Dal razzismo istituzionale – quello della feccia della classe politica italiana – giustificato con la libertà di espressione – a quello sui media («Quando il razzismo istituzionale incontra quello mediatico, si normalizza»), dove determinati contesti televisivi, ad esempio, finiscono, nolenti o volenti, per fare da cassa da risonanza a individui e opinioni becere. Di questo saggio e memoir colpiscono la libertà intellettuale e la lucidità, la sincerità e il coraggio. La forza dirompente che le parole di Nadeesha Uyangoda fanno rimbombare è quello che piace di più del suo libro. Uyangoda sottolinea l’utilità di ogni piccolo no al razzismo, ma ancora di più quelli enormi da fare emergere, presso chi detiene il potere economico e sociale. Per raggiungere il traguardo servono dei passaggi ineludibili e specifici: «…esercitare pressione affinché chi detiene il potere smantelli le strutture, il linguaggio, le pratiche che rendono la nostra una società razzializzata»
Recensione di Giosuè Colomba
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